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Intervista a Laura Nardi

Pubblicato il 12 giugno 2009 da Laura Khasiev


Intervista a Laura Nardi

Abbiamo incontrato l’attrice Laura Nardi in occasione del Festival Teatri di Vetro 2009 con lo spettacolo Primo Amore, dal testo di Letizia Russo e per la regia di Luigi Saravo. L’attrice ci ha raccontato come è nato l’incontro con questo spettacolo, come ha lavorato e ci ha raccontato il suo percorso in ambito recitativo. Nata a Roma il 15 maggio 1971, la Nardi si è diplomata all’Accademia d’arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma. Numerose le esperienze lavorative a teatro con gli spettacoli: Romeo e Giulietta di Patroni Griffi, Il Gabbiano di A. Cechov (Nina) regia di Eimuntas Nekrosius, Zio Vanja di A. Cechov (Elena) regia di Sergio Fantoni e molto altro; al cinema ha recitato nei seguenti film: In love and war regia di Richard Attemborough, Matrimoni regia di Cristina Comencini; e ancora in tv con diverse fiction come Incantesimo, Nanà, Ris. Ha avuto esperienze all’estero, in Portogallo, al teatro Nacional Dona Maroa II di Lisboa, ed anche in Canada e a Londra.

Come hai proceduto per realizzare questo monologo di Primo Amore?

Sapevo che dovevo mettermi a confronto con la virilità, dovevo interpretare un uomo, anche se omosessuale, ma comunque con le movenze diverse da quelle di una donna. In tutto il periodo di lavoro ho cercato di osservare il regista Luigi Saravo nelle sue movenze, nel modo di parlare e nel tono di voce e ho tentato di imitarlo. Ho proceduto innanzitutto annullando la mia gestualità, io quando parlo sono abituata a muovere molto le mani, questa cosa ho iniziato ad evitarla e in scena ho fatto in modo di star ferma mentre parlavo.

Come sei venuta a conoscenza del testo?

Avevo voglia di affrontare un testo da sola e l’incontro con l’autrice c’è stato per motivi sentimentali che ci hanno legate entrambe al Portogallo. Ho chiamato Letizia Russo per farle una proposta di lavoro, lei mi ha detto che aveva questo testo di Primo Amore pronto, però era la storia di un omosessuale quindi non sapeva se sarebbe stato adatto. Questo monologo era già stato interpretato da un uomo, in quanto storia d’amore io ho pensato che fosse importante raccontarla, indipendentemente dalla sessualità e così è nato questo connubio.

Che cosa ha voluto trasmettere con questa interpretazione, quale il sentimento principale che vorrebbe arrivasse al pubblico?

I sentimenti non so neanche se siano arrivati, comunque non mi sono posta l’obiettivo di far uscir fuori un sentimento o di evocare qualcosa in particolare, ho agito in maniera differente. Questo lavoro ha rappresentato per me una “macchina” nella quale io sono entrata e ho lavorato come potrebbe lavorare un artigiano o un impiegato, senza pensare a cosa potesse arrivare al pubblico, ma questo proprio per fare in modo che ciò che ne sarebbe uscito fuori non sarebbe stato governato o indirizzato da me, bensì fosse affidato al pubblico, così che ogni spettatore lo avrebbe accolto a suo modo.

Cosa direbbe a un giovane che vorrebbe intraprendere la carriera di attore? Consiglierebbe l’Accademia?

Se l’Accademia è rimasta quella che ho frequentato io anni fa non la consiglierei perché poi una volta uscita sia io, che anche miei altri colleghi con cui ho parlato, abbiamo dovuto affrontare un lavoro per “disaccademizzarci”. Forse oggi la situazione è diversa, ho sentito parlare di rivoluzioni e cambiamenti all’interno dell’Accademia e lo vorrei sperare perché ai nostri tempi ci abituavano ad interpretare in grandi classici. E se ci ripenso eravamo molto buffi.


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