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Je suis Ilan - 24 jours (Documentaria)

Pubblicato il 9 maggio 2015 da Stefano Colagiovanni


Je suis Ilan - 24 jours (Documentaria)

Sono trascorsi pochi mesi dall’attentato terroristico-antisemita nella redazione di Charlie Hebdo a Parigi, il 7 gennaio 2015 scorso. Je suis Ilan – 24 jours, ultima fatica del francese Alexandre Arcady, ci porta indietro di otto anni, nel 2006. Sembrano tanti, ma è come se fosse ieri. A testimonianza di come certe ferite non si rimarginano mai, anzi sono destinate a riaprirsi.

E’ il 20 gennaio 2006. Un giovane ragazzo ebreo, Ilan Halimi (Syrus Shahidi) viene adescato, rapito e segregato in un casolare nel quartiere di Bagneux da un gruppo di violenti antisemiti, conosciuto come la “banda dei barbari”. Sua madre Ruth Halimi (Zabou Breitman) e l’intera famiglia di Ilan vengono conttattati dai sequestratori per ricevere grosse somme di denaro come riscatto e da quel momento la polizia parigina intraprende un’operazione delicatissima per tentare di salvare la vita a Ilan e riportarlo a casa. Nonostante la scarsa esperienza delle forze dell’ordine in merito ai sequestri di persona, la situazione appare risolvibile, ma l’incapacità di associare al sequestro di Ilan un movente antisemita, nonostante le reiterate intuizioni della madre Ruth, incanaleranno le indagini lungo un sentiero senza alcuna via d’uscita. Trascorreranno ben ventiquattro giorni di attesa e agonia prima che Ilan venga ritrovato nudo e in fin di vita lungo i binari del treno a Sainte-Geneviève-des-Bois. Morirà solo poco tempo dopo.

Je suis Ilan – 24 jours ha il compito di narrare una storia vera, non solo con l’intento di lanciare un nuovo allarme all’Europa intimorita di essere messa in ginocchio dall’odio integralista, ma con la ferrea volontà di impedirci di dimenticare quanto accaduto a Ilan Halimi. Ricordare per sopravvivere, ricordare per combattere. Così Arcady, esperto cineasta francese, trova il coraggio di lanciare questo messaggio attraverso il cinema, dopo esser stato catturato dal racconto scritto dalla madre di Ilan, Ruth Halimi, insieme a Emilie Frèche (24 Jours: la verité sur la mort d’Ilan Halimi). Senza mai perdersi d’animo, nonostante le enormi difficoltà di produzione, aggravate dal mancato sostegno della televisione francese, ostinata a tenere la testa sotto la sabbia per stessa ammissione di Arcady, il regista ricostruisce i momenti del rapimento, delle successive indagini e delle torture subite da Ilan in maniera quanto più accurata possibile, evitando suggestioni romanzesche, attenendosi alla cronaca nuda e cruda evinta dai fatti e dai resoconti.

Un racconto sviluppato per sottrazione, nel quale viene mostrato solo l’indispensabile, senza mai badare all’effetto visivo, ma lasciando che sia il dolore dei familiari e la crudeltà dei carnefici di Ilan a ricoprire il ruolo di veri protagonisti. Una scelta che amplifica la tensione drammatica, ma che, d’altro canto, affossa i personaggi, privandoli di una loro precisa identità: non c’è coinvolgimento emotivo con essi, ma solo un perpetuo sentore di oppressione originato dal susseguirsi degli eventi, come se si stesse assimilando una ricostruzione letta sulle pagine di un quotidiano. La figura di Ruth, madre affranta e consapevole del destino che attende il figlio, viene quasi relegata in seconda fila, lasciando che sia il marito a caricarsi sulle spalle tutto il peso di una trattativa sfibrante e ossessiva. Arcady si concentra troppo sul puntare il dito contro le negligenze della polizia francese che non si accorge di aver abbandonato nelle retrovie tutti i personaggi più vicini a Ilan, impedendo loro di sviluppare un processo intellettuale e comportamentale che si discosti e si elevi dal piatto status di sofferenza causato dall’evento scatenante (il rapimento di Ilan).

Non vi è alcuna ricerca di virtuosismo in Je suis Ilan – 24 jours, che si presenta come un documento di denuncia a scopo educativo, ideato per ripescare dalle torbide acque della memoria l’assassinio di un ragazzo vittima del fanatismo irrazionale di una stretta cerchia di fondamentalisti islamici. Magari Arcady non avrà speso tutto se stesso alla ricerca di accuratezza stilistica in grado di impressionare, così come avrebbe dovuto approfondire con più audacia il punto di vista della signora Halimi, una protagonista mascherata (purtroppo) da spettatrice, ma Je suis Ilan – 24 jours colpisce forte come un pugno nello stomaco per la profondità etica e sociale su cui vuole far luce: la società moderna nasconde mostruosità che vivono tra noi, invisibili e pronte a divorare un giovane ragazzo ebreo (o la redazione di un giornale satirico) senza alcuna ragione che possa essere intesa come sacrosanta verità. E non c’è alcun movente religioso che riesca a supportare una spiegazione degna di essere considerata tale. Un tempo Albert Einstein disse: Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana. Della prima non sono sicuro. Il fatto che Einstein fosse ebreo non rappresenta altro che una curiosa coincidenza.


(24 jours); Regia: Alexandre Arcady; sceneggiatura: Antoine Lacomblez, Emilie Frèche, Alexandre Arcady; fotografia: Gilles Henry; montaggio: Manu De Sousa; musica: Armand Amar; interpreti: Syrus Shahidi, Zabou Breitman, Tony Harrison, Pascal Elbé Jacques Gamblin, Sylvie Testud; produzione: Olivier Sarfati, Alexandre Films, Orange Studio, New Light Films; distribuzione: Rai; origine: Francia, 2014; durata: (esempio) 110’; Proposta di voto: 3


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