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KIRIKU’ E GLI ANIMALI SELVAGGI

Pubblicato il 26 dicembre 2005 da Riccardo Protani


KIRIKU' E GLI ANIMALI SELVAGGI

Se vi foste fissati col Giappone di Miyazaki e l’estetica spettacolare del 3D americano consolatevi: le lande dell’animazione sanno offrire ulteriori spasmi di sentimento e poesia anche quando non vengono concepiti per il botteghino vita naturaldurante. Michel Ocelot, uno di quelli che poi ancora oggi al botteghino ci guarda ma non troppo (l’animazione è una cosa, il mercato viene dopo), ha praticamente sfidato se stesso: essendo riuscito a creare un vero e proprio “ponte” europeo tra l’Impero d’Oriente animato e quello americano, poteva già di suo ritenersi soddisfatto con Kirikù e la strega Karabà. Invece ha accettato la prova e ci ha riprovato, sei anni dopo, con questo suo ultimo e azzeccatissimo Kirikù e gli animali selvaggi. Il risultato è stata la proiezione come Evento speciale a Cannes, quasi in contemporanea con il Leone d’Oro a Miyazaki-san. Kirikù colpisce anzitutto per una cosa: l’ostinazione dell’Autore verso un progetto attualmente anticommerciale dal punto di vista dei metodi di realizzazione. Perché in tempi moderni come questi, dominati dal dio pixel, spingere la gente ad andare consapevolmente al cinema per vedere un film animato (benissimo) ancora col “preistorico” metodo 2D rappresenta effettivamente una sorta di sfida. Sfida alla modernità, magari, ma sfida soprattutto con un certo tipo di tradizione e leggenda. In Kirikù e gli animali selvaggi non esistono gli effetti speciali della Pixar o le trame eteree di Miyazaki, i miliardi della DreamWorks o i ritrovati spettacolari di Lucas. Esiste “solo” una storia narrata dai colori, dalle atmosfere africane, dai grandi paesaggi di un mondo filtrato da un disegno così vintage da essere a tratti addirittura più moderno di quello di Chicken Little. Potenza della fantasia e della fluidità dei movimenti dei personaggi, Kirikù per primo; potenza della magia narrativa incentrata su una storia che non vuole nascere come sequel ma come avventura “altra” rispetto alla sua precedente, con un protagonista identico a quello che avevamo lasciato e con una “missione” che permette oltretutto ad Ocelot e Bénédicte Galup (alla sua prima prova da regista) di narrare tutte le storie che nel primo film avevano fatto solo capolino. Ed allora bentornati nel tripudio di tradizioni tipiche dell’Africa Nera con tanto degli animali selvaggi - e poetici... - del titolo e della musica etnica assolutamente azzeccata (un racconto nel racconto: non è un caso che abbia collaborato alla pellicola anche il musicista Youssou N’Dour); ecco i paesaggi, le leggende e l’avventura della crescita per Kirikù; ecco i personaggi chiave per la sua crescita (dei graditi ritorni), e gli strumenti musicali tradizionali del continente (il bafalon, lo ngoni, la cora...). Esistono anche oggi pellicole, animate soprattutto, che non risentono della evoluzione della tecnologia perché si affidano sempre e comunque all’ancora della sceneggiatura. Kirikù e gli animali selvaggi è una di queste, ed è tanto più lontana dalle nuove tradizioni animate occidentali ed orientali quanto più si avvicina con disinvoltura all’essenza di cui sono fatti i sogni. Africani come americani o giapponesi. Prestigio dell’innocenza. E di Kirikù.

[dicembre 2005]

(Kirikù e gli animali selvaggi); Regia: Michel Ocelot e Bénédicte Galup; sceneggiatura: Michel Ocelot, Philippe Andrieu, Bénédicte Galup, Marine Locatelli; disegni: Michel Ocelot; montaggio: Dominique Lefever; musiche: Michel Ocelot, Youssou N’Dour, Rokia Traoré; produzione: Les Amateurs distribuzione: Mikado; web info: www.kirikou-lefilm.com

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