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L’EDUCAZIONE FISICA DELLE FANCIULLE

Pubblicato il 18 settembre 2005 da Emanuela Visco


L'EDUCAZIONE FISICA DELLE FANCIULLE

“Le donne sono ancora costrette a rimanere ai margini e a conformarsi alle fantasie maschili dei media popolari, al controllo sociale tramite l’uso della prevaricazione violenta...” è con queste parole che Jonh Irvin descrive il suo ultimo lavoro per il grande schermo presentato al 62° Festival di Venezia nella sezione Fuori Concorso. Una storia piuttosto semplice che sembra ricalcare e accostarsi a temi ricorrenti di certa pornografia settecentesca. Basato su una sceneggiatura, l’ultima, che Alberto Lattuada aveva scritto a quattro mani insieme a Ottavio Jemma, tratto dal libro dell’autore tedesco Frank Wedekind “Mine-Haha or Physical Education of Young Girls” ambientato in Turinga, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, il film è la storia di sei fanciulle sedicenni, ospiti fin dall’infanzia in un lussuoso collegio dove apprendono danza, musica e buone maniere sotto la guida di istruttrici intransigenti e severe. Le regole sono rigide, è vietato ogni contatto con l’esterno. La posta in gioco è il corpo di ballo più prestigioso del paese. Ma dietro l’apparenza regolare ed ordinata di queste vite si nasconde ben altra realtà gelosamente custodita dall’ambigua direttrice e solo vagamente intuita da Vera, la meno ingenua delle fanciulle che pagherà caro il suo desiderio di capire. Il film nel voler trasmettere allo spettatore le ansie e le paure delle protagoniste ballerine si propone nella trama sotto una forma volontariamente incompleta non trovando una soluzione nemmeno nel finale che segna la circolarità di una storia che inizia e termina con la stessa inquadratura fissa del cancello del collegio che si chiude innalzando una barriera verso il mondo esterno e abbracciando le proprie insite atrocità. E di nuovo non c’è soluzione nell’urlo finale della prima ballerina (l’unica che avrà il coraggio di gridare “assassini” alla platea del teatro) che risvegliandosi dalla notte di violenza sessuale subita, scappa ancora una volta verso il collegio, unica, triste possibilità di vita. Questo film sembrerebbe il manifesto della rassegnazione, fisica nel bellissimo e convincente primo piano dei piedi sanguinanti di una ballerina che si allena nei suoi passi, morale nei suicidi e manifesto di rassegnazione politica nella mancanza assoluta di dialogo tra le ragazze e le direttrici del collegio. Un incubo angosciante, fatto di donne caste che finiscono per diventare il desiderio perverso dell’unica triste presenza maschile, fatta eccezione per il giardiniere sordomuto, il medico ubriacone e l’investigatore, unico personaggio positivo, che tenterà invano di smascherare certe atroci verità sulla morte di alcune ragazze del collegio.

[Settembre 2005]

(The fine art of Love) Regia: John Irvin sceneggiatura: Alberto Lattuada e Ottavio Jemma fotografia: Fabio Zamarion montaggio: Roberto Perpignani interpreti: Jacqueline Bisset, Enrico Lo Verso, Galatea Ranzi, Eva Grimaldi, Tomás Hanák produzione: Titania Produzioni Srl distribuzione italiana: 01 Distribution


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