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L’eredità di Caino

Pubblicato il 13 giugno 2007 da Andrea Esposito


L'eredità di Caino

Liberamente ispirato alla Venere in Pelliccia di Leopold von Sacher-Masoch, L’eredità di Caino è la coraggiosa opera prima di due giovani registi, Luca Acito e Sebastiano Montresor. Un progetto dalla gestazione lunga e difficile, totalmente indipendente e tuttora alla ricerca di un possibile distributore. Acito e Montresor hanno realizzato un insolito oggetto filmico, a metà tra videoarte e teatro, fieramente antinarrativo, volutamente shockante e indigesto. Tutta la scena si svolge in una stanza dal pavimento a scacchi, dove Lui (uno straordinario Filippo Timi) si abbandona alle sevizie di due donne, la Signora e la Prostituta. La tortura e l’umiliazione diventano gli strumenti per vivere il suo amore e desiderio, poiché, dice Lui: ‘Io posso amare solo chi è al di sopra di me’.

Il film nasce dall’isolamento e da un lungo lavoro di montaggio. Alla fine di quel silenzio costretto, dice Montresor, è venuto fuori ‘questo busto, questa scultura’. In questo senso L’eredità di Caino è un film complesso e stratificato, nei confronti del quale la critica deve prendere in considerazione diversi elementi. C’è uno spazio, puramente teatrale, la scena della stanza, che è lo spazio nucleare in cui i corpi creano l’azione. Ci sono questi corpi, corpi attoriali, di cui si percepisce la forza primigenia, che insieme agli oggetti – carichi di significato come simboli: le scarpe, la pelliccia, la frusta, la sedia a rotelle – creano un universo di costrizione e desiderio. In questo spazio metafisico risuona tutto un peso sconcertante dei gesti e delle cose. Possiamo dire che ciò che avviene in quello spazio (scenografia, recitazione…) è convincente e assai riuscito. Ma si percepisce una leggera discrasia, perché l’occhio, la telecamera che riprende quest’azione, talvolta non riesce ad esprimere con sufficiente forza il dolore e la crudeltà che quei corpi vivono. Il linguaggio simbolico, i rimandi al testo, la recitazione sono tutti elementi intrisi di un doloroso (o crudele, per dirla con Artaud) rigore formale. Per la fotografia e la ripresa vera e propria si è scelto invece di seguire un’indagine più libera, istintiva, disorganizzata. Ma il tremolio della macchina da presa e i salti di fotogramma appaiono a tratti un po’ vezzosi, alcuni effetti visivi superflui, e la fotografia dagli esiti singhiozzanti (a volte molto curata, altre frettolosa). La telecamera sembra rincorrere i corpi, li vuole raggiungere, scavare. Ma questi corpi sembrano più forti, più pesanti dell’immagine che li racconta, più intensa la scena al di là dello sguardo.
Si avverte però, ed è probabilmente ben più importante, che a muovere la telecamera è l’urgenza di raggiungere e raccontare la carne e le sue sofferenze. La frenesia, la volontà di arrivare fin dentro la scena, di cogliere il palpito di ciò che accade appaiono frutti di una devozione e di un desiderio privi di tregua o concessioni.
L’eredità è lineare ma allo stesso tempo disorganico nei suoi equilibri interni. La struttura narrativa ridotta ai minimi termini, composta da piccoli capitoli che presentano i personaggi e illustrano ciò accadrà in quella scena. Ma il testo è come fagocitato da quell’ansia di crudeltà, indugia sul desiderio, sulle esecuzioni che si consumano sullo schermo: esse vengono mostrate per un tempo insostenibile e diventano l’emblematica ossatura del film. L’eredità è un corpo scaleno e smembrato, dove talvolta si respira la ricerca della grazia. E dove la violenza diventa uno scandaloso atto d’amore. E’ la profondità di questa violenza a spingerci ad un illustre paragone con Salò, dove il sadismo diventa politico (la violenza come dominio del debole). Qui l’afflato che sospinge il film è l’amore scandaloso per quella violenza. Salò è un’orgia di corpi: qui i corpi sono lontanissimi, e poche volte arrivano a toccarsi. ‘La ferita in cancrena emana l’odore nauseante della putrefazione’: L’eredità è un lavorio impietoso intorno alla ferita viva, è la concupiscenza per la vita non viva della carne sotto la cicatrice.


(L’eredità di Caino) Regia: Luca Acito e Sebastiano Montresor; soggetto: Sebastiano Montresor, Federica Carlotto; sceneggiatura: Sebastiano Montresor, Federica Parlotto, Luca Acito, Filippo Timi; fotografia: Alessandro Zonin (A.I.C.); montaggio: Luca Acito, Sebastiano Montresor; musica: Antonio Giannantonio; scenografia: Davide Piaggesi, Stefano Sartori; costumi: Michela Capitanio; interpreti:Filippo Timi, Lucia Mascino, Anna Mascino, Cristina Golotta; produzione: Mon3sor; origine: Italia, 2006; durata: 75’; web info: www.myspace.com/cainomovie


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