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L’impero

Pubblicato il 23 agosto 2002 da Alessandro Izzi


L'impero

Lamberto Bava non è certo stato mai una garanzia né del nostro cinema (quando vi si è cimentato sulle orme del padre con piccoli thriller all’italiana), né della nostra televisione. Il caso de L’impero, in questo senso, oltre ad essere un’ulteriore conferma dello scarso talento del suo autore, è una dimostrazione lampante di tutto ciò che assolutamente non va nel modo, tutto italiano, di concepire la fiction televisiva. Tanto per cominciare, il regista si affida quasi completamente ad attori altrove, forse, espressivi, ma qui sicuramente al loro minimo sindacale, legandoli a dei ruoli che non brillano certo, né per profondità né per coerenza psicologica. Le idee di sceneggiatura (?), per lo più, latitano nonostante l’affollarsi di colpi di scena (quanto mai gettonati) e, quelle poche che ci sono, non riescono a donare alla narrazione quel tanto di ritmo e senso del racconto sufficienti a bloccare lo spettatore sulla poltrona, inabile, per qualche tempo, allo zapping quotidiano. Anche sul piano della messa in quadro, l’autore non riesce ad imprimere alle immagini un minimo di impatto visivo, affidandosi ad una fotografia assolutamente priva di estro (la presunta visionarietà di certe scene come quella del suicidio tra le statue antiche è puramente d’accatto) e ad un montaggio privo di mordente. L’idea di raccontare l’orrore del mercato dei nuovi schiavi del sesso, con retroscena di nuova mafia russa e complotti nelle alte sfere, di per sé, poteva fornire non pochi spunti, se non altro spettacolari (la riflessione, per carità, lasciamola tutta al Maurizio Costanzo Show), ma il poco che c’è di originale nella fiction di Lamberto Bava finisce soffocato dalle troppe piste in cui si perde il racconto che arranca faticosamente fino al prevedibile epilogo che rimette tutto a posto. Sullo sfondo: la storia d’amore sfortunata e difficile tra il bel (?) Claudio Amendola e la bella (!) Caludia Koll che si cornificheranno l’un l’altro prima della felice conclusione per incomprensioni dovute al lavoro. Che il potere sia colluso, in qualche modo, con la malavita (tesi supportata dal film televisivo) è cosa nota fin dall’alba dell’Uomo e, francamente, ci spaventano di più i presunti passati di Berlusconi con la Mafia che non i ghigni alla Lecter del villain di turno mentre intrallazza con i vari politici messi, qui, più che altro per affollare di comparse il racconto. Seguendo solo un’idea guida, che, cioè, il potere debba porsi sullo stesso piano della Mafia, cercando in qualche modo di cavalcarla a fin di bene (?) come fosse una bestia da tiro, il diabolico personaggio negativo (una sorta di Mabuse di italica provenienza) rivela ben presto i suoi trascorsi da operetta o da Gran Guignol. Ma, in fondo, la sua è una tesi che sarebbe meglio restasse fuori dalle fiction televisive se non vuole prestarsi a strumentalizzazioni di vario tipo. Il finale della piccola saga, con tanto di omicidio conclusivo, si adagia, purtroppo, su un simbolismo d’accatto: chi cercava di cavalcare la bestia ne è, alla fine, divorato. Ma in conclusione, chi ne esce veramente sconfitto è proprio il povero spettatore. E bisognerebbe in qualche modo premiare quello che è riuscito a reggere, davvero, fino alla fine. In sintesi: un prodotto che annoia alla prima inquadratura e sfinisce già a metà prima puntata.

Fiction: L’IMPERO; regia: Lamberto Bava; sceneggiatura: Mimmo Rafele (S.A.C.T.) Piero Bodrato (S.A.C.T.), Sergio Silva; musica: Paolo Buonvino; fotografia: Romano Albano (A.I.C.); montaggio: Mauro Bonanni; interpreti: Claudio Amendola, Claudia Koll, Franco Castellano, Mathieu Carriere; origine: Italia, 2001

[Agosto 2002]


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