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L’ISOLA E LA FUGA: REALTA’ E DESIDERIO NEL CINEMA SARDO

Pubblicato il 5 marzo 2007 da Gaetano Maiorino


L'ISOLA E LA FUGA: REALTA' E DESIDERIO NEL CINEMA SARDO

Isola: porzione di terraferma completamente circondata dalle acque.’

Fuga: il liberarsi da un ambiente, da una condizione sentita come opprimente.’

Se si parla di Sardegna non si può fare a meno di partire da questi due termini. Sono due parole che ritornano di continuo nella filmografia sarda, sia essa realizzata da registi locali, sia da registi che si sono spostati dal continente per filmare la realtà di una terra troppo conosciuta per il turismo dei ricchi e le copertine dei giornali scandalistici, e troppo poco per le tradizioni, le origini, talvolta i retaggi di una cultura antica e a spesso troppo chiusa su se stessa. Una delle sequenze iniziali di La destinazione, film scritto e diretto da Pietro Sanna, mostra un uomo che sta mungendo delle pecore, il figlio lo aiuta e l’uomo gli dice: ‘Ti auguro un futuro migliore’. Il ragazzo si chiama Costantino e l’augurio del padre si realizza quando il giovane si arruola nell’arma dei carabinieri e lascia la sua terra. Un padre che augura al figlio di lasciare la propria casa sembra un paradosso eppure la realtà che il cinema sardo ci propone è questa. Essere pastori è la condizione iniziale in cui moltissimi giovani dell’entroterra sardo si trovano a vivere. Il contatto diretto con la natura non è di certo quello di un idillio bucolico, eppure molti ragazzi scelgono ugualmente di vivere così. Lo fanno per necessità familiari, lo fanno per indolenza, lo fanno per il timore dell’ignoto che li aspetta oltre il mare.
Il mare è un elemento che appare in ognuno dei film più recenti girati da registi sardi. Ballo a tre passi di Salvatore Mereu, Pesi Leggeri di Enrico Pau, il già citato La destinazione. Con ruoli (se di ruolo si può parlare per un personaggio così ingombrante come il mare) differenti, il mare è sempre lì: spettatore mentre si riflette sul proprio destino, quando ci si incontra con se stessi, quando l’introspezione a volte spaventa. È lì a fare da confine, territoriale e metaforico, dell’isola che deve essere abbandonata, che si desidera abbandonare, che si ha paura di abbandonare. Di fronte al mare si stupiscono i bambini (Ballo a tre passi) incoscienti, piccoli Antoin Doinel truffautiani con meno paura e più malinconia; si confrontano i ragazzi con progetti diversi per il futuro e differenti tensioni verso il mondo (Pesi leggeri); si inibiscono gli adulti e piangono i vecchi, anche solo al suo ricordo (ancora Ballo a tre passi). È il mare della scoperta dell’infinito. La parola isola ricorda storicamente, oltre che per assonanza, la parola esilio. Volontario o meno, è questa la condizione esistenziale che molti dei protagonisti di queste storie si trovano ad affrontare, e con cui si devono confrontare. Molti giovani si sentono confinati fisicamente e culturalmente in un luogo che sembra a volte fuori dal tempo, condizionato da tacite leggi e regolato da antiche convenzioni sociali segno di una mentalità, purtroppo non ancora matura.
La modernizzazione, soprattutto legata al turismo, si è avuta solo in alcune zone o in alcune attività, e paradossalmente chi ora ne beneficia non ha radici nell’isola.
Chi vuole rompere con questo confino esistenziale si trova di fronte a un ostacolo arduo da superare. Una possibilità di fuga è data dalla militarizzazione. L’obbligo del servizio di leva e ora il desiderio di arruolarsi hanno permesso a tanti giovani, zaino in spalla, di venir fuori da un futuro predeterminato, da un avvenire già deciso dai padri o dal destino. Parte Gavino Ledda (Padre padrone), parte il già citato Costantino. Ma a volte non si riesce a partire perché superare la condizione di esilio vuol dire fuggire da un intero mondo non solo da un luogo. Il desiderio allora implode lasciando una ferita ancora più profonda e lacerante.
I nuovi autori, sulla scia di una significativa tradizione narrativa, ereditano una tematica essenziale per raccontare la propria terra, trasformando e trasportando ai giorni nostri la condizione di ‘prigionieri’ in cui i loro personaggi si trovano a vivere, una condizione che, accomunando il passato e il presente è evidentemente irrisolta e probabilmente ancora irrisolvibile.
Il nuovo cinema sardo porta sullo schermo le storie che conosce da vicino,che magari ha vissuto. Storie di tante partenze tentate, riuscite, solamente desiderate. Storie di una cultura, di usanze antichissime e ancora fortemente radicate, ma soprattutto storie di giovani che cercano qualcosa di diverso, qualcosa di migliore.
A volte basterebbe attraversare il mare per riallacciare il legame con il continente e con se stessi. Ma questa immensa distesa azzurra, facile da attraversare, è spesso difficile da varcare realmente.

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