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‘La morte può essere una fantastica avventura’

Pubblicato il 20 marzo 2007 da Sila Berruti


‘La morte può essere una fantastica avventura'

Quando, agli albori del secolo scorso, conosce Sylvia Llewelyn Davies e i suoi bambini nei giardini di Kengsinton a Londra, James Mattew Berrie certo non immaginava che da questo incontro sarebbe nato uno dei personaggi più importanti e fortunati della storia della letteratura.
Peter Pan, il re dei folletti, il bambino che non vuole crescere, è stato infatti ispirato da uno dei figli della Davies e le avventure dei bimbi sperduti ai giochi che con loro Berrie si divertiva a fare nel parco londinese. Ma la storia è ormai nota al grande pubblico dopo l’uscita del film Neverland, in realtà pallida e troppo hollywoodiana ricostruzione della complessa vita dello scrittore.
Dalla fervida mente di Berrie nasce un mondo eccezionale che riflette però, paradossalmente, il dolore di una grave perdita che ha colpito la famiglia dell’artista molti anni prima: una mattina d’inverno mentre si trova a pattinare su un lago ghiacciato con il suo fratellino David, una lastra di ghiaccio si rompe e il piccolo David muore annegato. Da quel momento, James ha dedica la sua vita a consolare la madre nel tentativo di riempire il vuoto creato da questa tragedia.
La storia del bambino sperduto che cade dalla carrozzina e si perde nei giardini, conosce le fate e impara a volare nasce da questa dolorosa ferita. Al principio del 1900 la mortalità infantile in Inghilterra (come in gran parte del resto d’Europa) è ancora molto alta. I genitori hanno bisogno di un rifugio, un’illusione alla quale aggrapparsi e dalla ricerca di questa speranza nasce Peter. Il piccolo traghettatore di anime, lo spiritello che alletta i bambini promettendo loro una vita di fantastiche avventure e, soprattutto, la possibilità di non crescere mai. Così i piccoli, che cadono dalle carrozzine delle bambinaie sbadate, decidono di non tornare più a casa. ’La morte può essere una fantastica avventura’ è infatti una delle battute centrali del romanzo, la vita e la morte si fondono e identificano in quel luogo immaginario che è l’isola che non c’è. Dove i bambini combattono contro i pirati consumando duelli all’ultimo sangue.
Ma Peter Pan non è solo questo, è un richiamo all’infanzia e alla ricchezza della immaginazione. Un moderno trattato di pedagogia dove il bambino viene finalmente trattato con rispetto e non cresciuto nell’attesa che diventi adulto. L’infanzia prende forma e dimensione come periodo fondamentale che non solo deve essere rispettato ma mai dimenticato. Tutti i bambini hanno fatto un viaggio nell’isola che non c’è e, se solo si evoca un pensiero felice, si riesce a volare. A questo particolare aspetto si è ispirato Steven Spielberg in Hook dove un Peter grande, dimentico del proprio passato, ritorna all’isola per salvare i suoi bambini. Lasciamo ad altri scontate e riduttive interpretazione simboliche, perché di Peter ci affascina lo spirito libero, quel suo essere bambino fino al midollo, compresa la saccenteria e la presunzione tipica dei bimbi piccoli.
La pellicola che a nostro avviso meglio riflette il romanzo è l’ultima in ordine di tempo e la più criticata. Peter Pan per la regia di P. J. Hogan, che dimostra un enorme rispetto per il romanzo e la sua vera essenza. Hogan riesce a rendere in pieno lo spirito del libro, non solo nella perfetta caratterizzazione dei personaggi, ma nell’anima guida che da sempre accompagna Peter in tutte le sue trasposizioni dal teatro al cinema. Ovvero la profonda convinzione che l’infanzia sia il tempo migliore, che ‘Nulla di importante ci accade dopo i 12 anni’ e che basterebbe potersi appellare ad pensiero felice per rendere l’età adulta meno dolorosa.


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