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La notte in cui è morto Pasolini e Tiburtino terzo

Pubblicato il 15 maggio 2009 da Federica Bianchi


La notte in cui è morto Pasolini e Tiburtino terzo

Dopo anni di silenzio su una delle vicende più ambigue e dolorose della storia italiana, l’uccisione di Pier Paolo Pasolini, una delle personalità artistiche più preziose del panorama italiano, qualcuno ha scelto di tornare a scavare, per quanto possibile, nei fatti attraverso colui che di questi fatti è stato ritenuto responsabile fin dal 1975. L’indagato e condannato interlocutore dell’intervista contenuta nel documentario La notte in cui è morto Pasolini, è l’ormai noto Pino Pelosi, mentre a porre le domande è la regista Roberta Torre che dopo aver svolto un lungo lavoro (partendo dai referti tenuti nel Museo Criminologico di Roma) registra le parole di questo uomo rozzo e ignorante che sembra essere proprio il rappresentante per eccezione di quei soggetti antropologici che Pasolini ha sempre amato, dividendo le parti dell’intervista con dei cartelli che sezionano i blocchi contenutistici. Pelosi parla per la prima volta dopo tre decenni (anche se già si era dichiarato innocente nel 2005) e racconta la sua verità dicendo che " i tempi sò maturi...ero terrorizzato da queste persone, mò sono passati trent’anni e rotti...i Borsellino sono morti, e va bene, queste persone o saranno morti, che già erano grossi o c’avranno settant’anni...non li conosco non so nome e cognome perciò non c’è problema alcuno"; il ritratto che l’indagato fa di sè è di un diciassettenne (all’epoca dei fatti) completamente stordito dagli avvenimenti e impaurito da quello che avrebbe visto e non fatto, minacciato da cinque persone (i due fratelli Borsellino, un certo Jhonny lo zingaro e altri due uomini) di "stare zitto" altrimenti sarebbe stato "seguito anche lì". La sua ricostruzione lo vede vittima di questi esecutori che firmarono appositamente il delitto con il suo anello, particolare per la riproduzione delle forze armate americane, che gli venne strappato con la forza e gettato affianco al corpo ferito e sanguinante di Pasolini. La Torre, che vede in Pelosi il capolinea di quella vocazione mortifera pasoliniana mai nascosta, delinea perfettamente con giochi di chiaroscuro la figura molto corporea dell’intervistato, il cui volto è spesso incorniciato in primi piani che ne esaltano le umili origini o totali che ne evidenziano le movenze scomposte. La regista infatti dichiarò di essere andata da Pelosi dopo aver visto il corpo di Pasolini, le condizioni in cui era ridotto, e di aver quindi avuto bisogno di un altro corpo che fosse legato a quello della vittima. Allo stesso modo punta l’occhio della macchina da presa sulla realtà romana, in particolare quella del "Tiburtino Terzo", quartiere periferico della capitale, dove peraltro vive lo stesso Pelosi oggi operatore ecologico, in cui segue i ragazzi di vita del ventunesimo secolo. Daniele detto "er porpo" perchè ha sempre "le mani in pasta dappertutto" o Iari detto "kamikazen" raccontano i loro sogni, abitudini, lo spaccio loro fonte di guadagno, portatori di quel senso di emarginazione di cui Pasolini ha sempre parlato in riferimento alla chiusura della borgata che molte volte imprigiona non lasciando vie d’uscita verso la città che guarda dal basso. Roma, in questo film documentario, sembra essere infatti la stessa che in Accattone o ancora in Mamma Roma incombeva borghese e prepotente con i suoi cupoloni sulle umili esistenze che timidamente si svolgevano ai suoi piedi. Ma come già molti anni fa Pasolini aveva anticipato, la città ha presto inglobato la periferia facendo dei suoi abitanti dei piccolo-borghesi che imitano una classe che li ripudia; i ragazzi del ventunesimo secolo tra dorga e giri in macchina sul Grande Raccordo Anulare sembrano ormai privati anche della loro genuina rozzezza primitiva (quella che piaceva a Pasolini), costretti a percorrere un anello intorno alla città senza possibilità di entrarvi realmente.


La notte in cui è morto Pasolini; Tiburtino Terzo; regia: Roberta Torre; produzione: Rosetta Film, Accademia Perduta; origine: Italia, 2008.


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