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La prière

Pubblicato il 19 febbraio 2018 da Matteo Galli

VOTO:

La prière

Non sappiamo da dove viene Thomas, il giovane protagonista di La prière di Cédric Kahn, presentato oggi in concorso a Berlino. Da qualche dettaglio si intuisce che una famiglia, se mai c’è stata, adesso non c’è più. La tossicodipendenza lo ha reso un rottame. Ultima chiamata: un centro di recupero gestito da religiosi (ex tossici o ex alcolizzati a loro volta), in mezzo alle Alpi, in una natura aspra e inospite, dove vige il motto benedettino dell’ora et labora. Lavori defatiganti e sostanzialmente inutili, tipo scavare una fossa profonda e poi, subito dopo, ricoprirla col terriccio, oppure abbattere rami secchi con falcetti dalle lame spuntate. L’importante è distrarsi, sfinirsi, superare le crisi d’astinenza, vivere in collettività, ogni tanto qualche canto religioso con la chitarra in mano – e poi tanta, tanta preghiera, se mai ci sarà una salvezza, sarà la consuetudine del rito a garantirla. Non sembra crederci più di tanto Thomas alla propria guarigione, alla propria redenzione, è un osso duro – d’altra parte cosa aspettarsi da uno che si chiama così? – recalcitra dinanzi ai divieti e alla disciplina, della fratellanza non sa che farsene; al termine del primo atto, in piena notte, scappa, e in attesa che l’indomani mattina parta il primo autobus per Grenoble, trova riparo per una notte in una casa di contadini non distante, e l’indomani mattina conosce la loro figlia Sybille, una ragazza dolce e solare che aspetta di partire per la Spagna, a fare l’archeologa, la quale con grande saggezza gli consiglia di ritornare alla casa-famiglia, chi fugge finisce comunque male. E Thomas allora torna in comunità e a poco a poco si integra, ma lo spettatore sa che Sybille è troppo dolce e troppo solare, e continuerà a giocare un ruolo importante nella vita di Thomas e nel film. Il secondo atto segna la lenta (apparente?) trasformazione di Thomas che, fra mille esitazioni e ricadute, impercettibilmente comincia a sorridere. Fra le cadute (e ricadute) da segnalarsi una confessione estorta, non priva di violenza, al cospetto di una suora interpretata da Hanna Schygulla (da Maria Braun a Maria Vergine, si potrebbe dire…) e poi una notte fra le accoglienti braccia di Sybille anche per rinfrancarsi da un trauma. Fin quando, all’indomani di una delle scene visivamente più belle dell’intero film – una notte all’addiaccio, sperduto nella montagna, ferito e attanagliato dalla paura della morte – il ragazzo trova (o crede di trovare) Dio e decide, pur reiteratamente messo in guardia dal padre superiore, addirittura di entrare in seminario, lasciando quindi la casa-famiglia, prendendo commiato da tutti, compagni, angeli custodi e preti. Inizia il terzo atto: lo spettatore pensa che Thomas a una dipendenza (la droga) abbia finito per sostituirne un’altra (la religione). Ma il film, nella scena finale, stupisce, e un po’ commuove. Non diremo come, perché il film potrebbe anche arrivare in Italia.
Si sente che dietro La prière c’è uno studio, che la sceneggiatura si basa su materiale reale, ma si sente anche che regista e sceneggiatori su questa base documentale hanno saputo innervare personaggi di finzione, forti e credibili, la sceneggiatura è solo un po’ ripetitiva nel descrivere i riti della comunità. Il paesaggio alpino -impervio come il percorso dei ragazzi in cerca di salvezza - è certamente un valore aggiunto di questo film. La fotografia, molto variegata, di Yves Cape, pure. Gli attori, a cominciare dal giovane e non esattamente bellissimo, Anthony Bajon sono molto bravi, tanto da sembrare davvero presi dalla strada, una specie di finto neorealismo. Ai qua e là melensi canti di chiesa fa da contrappeso musicale a mo’ di Leitmotiv l’aria (extradiegetica) attribuita a Bach, ma in realtà di Gottfried Heinrich Stölzl nota per il primo verso che suona in tedesco Bist Du bei mir, gehe ich mit Freuden (Se sei con me, me ne vado con gioia). Un’aria di commiato, che si suona e si canta, anche e soprattutto in occasione di funerali, ma in realtà un’aria di gioia, di pace e di amore, da leggersi in senso religioso. Ma anche no. Su questa ambiguità si gioca l’ottimo finale di un buon film di un regista, Cédric Kahn, che torna nel concorso della Berlinale quattordici anni dopo Feux Rouges che in italiano si chiamava Luci nella notte.


CAST & CREDITS

(La prière). Regia: Cédric Kahn; sceneggiatura: Fanny Burdino, Samuel Doux, Cédric Kahn; fotografia: Yves Cape; montaggio: Laure Gardette; interpreti: Anthony Bajon (Thomas), Damien Chapelle (Pierre), Alex Brendemühl (Marco), Louise Grinberg (Sybille), Hanna Schygulla (sorella Myriam, ) produzione: Les Films du Worso, Parigi, origine: Francia 2018; durata: 107’.


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