X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



La Roma di Sir Tony

Pubblicato il 3 maggio 2017 da Anton Giulio Onofri


La Roma di Sir Tony

Un solenne in bocca al lupo, anzi alla Lupa Capitolina (che, innocua, allattò i gemellini invece di papparseli), all’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia impegnata in questi giorni in un prestigioso tour che la vedrà esibirsi in alcune tra le più importanti sale da concerto europee, tra la Svizzera, Parigi, Amsterdam, Londra e la Germania. Il concerto al Parco della Musica dell’ultimo weekend di aprile era dunque una specie di prova generale (tre serate sold out, baciate da un successo clamoroso) di un programma pensato ad hoc per dimostrare lo stato di assoluta grazia di una delle maggiori orchestre del mondo, guidata dal suo ormai decennale direttore principale, Sir Antonio Pappano, e per testimoniare un’immagine musicale felice e scintillante di una città invece al suo minimo storico per efficienza e decoro: Roma. In apertura, introdotto come già in altre occasioni che prevedevano l’esecuzione di un brano contemporaneo dallo stesso Sir Tony, il Caprice III, detto, alla Berlioz, Caprice Romain, del cinquantenne compositore svizzero Richard Dubugnon, e nella seconda parte, eseguiti senza soluzione di continuità, i due poemi sinfonici di Ottorino Respighi, Fontane e Pini di Roma.

Nel Caprice Romain, suggerito da un ricordo d’infanzia registrato all’età di 8 anni durante un viaggio a Roma in compagnia di sua mamma, Dubugnon ha ridipinto con i colori della sua brillante tavolozza orchestrale una giornata romana dall’alba al tramonto, con richiami all’introduzione dell’ultimo atto della Tosca di Giacomo Puccini, e via via in crescendo il caos del traffico metropolitano, la vivacità delle strade del centro e dei mercati rionali, e la gran festa cittadina degli scampanii barocchi riprodotti con l’ampio uso di campane tubolari, campanelle, Glockenspiel, in un tripudio di lucente clangore vicino al Ravel di Daphnis et Clohé e Ma Mère l’Oye, ma pure alle partiture più materiche di Milhaud e Prokofiev. Una Roma frenetica, ma gagliarda e ottimista, molto lontana, grazie alla trasfigurazione dell’arte, dall’isteria e dalla volgarità che appesantiscono quotidianamente la prosaica vita del romano medio. Il pezzo del compositore svizzero si è comunque rivelato un eccellente e ideale pendant ai due splendori di Ottorino Respighi, bolognese (Roma si svela in maniera del tutto differente agli occhi, in questo caso alle orecchie, dei non-romani), che prima nel 1916, poi a Ventennio appena iniziato, nel 1924, creò i suoi due più noti capolavori, corteggiatissimi dalle orchestre del mondo intero grazie ad un virtuosismo magnificato da una scrittura magistrale tesa a dimostrare qualità timbriche ed espressive di tutte le sezioni della grande orchestra post-wagneriana. Due vere e proprie macchine di meraviglie sonore ingiustamente colpite da quella damnatio memoriae responsabile di aver affossato nel gusto e nel favore di pubblico e critica (sì, incredibilmente anche critica, una critica pedante e tendenziosa) tutta una generazione di musicisti, artisti e letterati che non sfigurerebbero accanto ai loro coevi colleghi di altre nazioni europee, regolarmente eseguiti, ammirati, letti e rappresentati. Nel periodo in cui l’Italia veniva considerata il Paese dell’Opera, e il Verismo imperava incontrastato nel gusto degli italiani (per i quali era ancora normale pratica andare all’Opera, come oggi si va al cinema), Respighi e un pugno di altri compositori nati negli anni ’80 del secolo precedente si impegnarono nel rivitalizzare l’importanza della polifonia e della musica strumentale della Penisola. Allievo di Giuseppe Martucci, che gli aveva insegnato la tecnica compositiva della tradizione tedesca, e di quello straordinario colorista che fu Rimsky-Korsakov, Respighi lascia intendere nelle sue partiture echi di Debussy e Ravel, Mahler (l’attacco mormorato delle Fontane ricorda l’inizio del secondo Lied del Canto della Terra), Richard Strauss (viene citato quasi alla lettera dalla celesta il tema della Rosa dal Rosenkavalier), degli Scherzi di Mendelssohn, della magniloquenza di Wagner (nella Fontana di Trevi al meriggio), dello Stravinsky di Petrushka (nei Pini di Villa Borghese), e traccia nella marcia trionfale dei Legionari sulla Via Appia al rientro da una vittoriosa campagna militare in Oriente le armonie “antichizzate” riprese un paio di decenni più tardi dai compositori hollywoodiani per le colonne sonore dei Peplum. Ma nonostante i numerosi debiti, la musica di Respighi riesce a suonare serenamente, elegantemente, orgogliosamente e spudoratamente “italiana”. Descrittiva, sì, ma tutt’altro che esteriore. Il magistero creativo di Respighi ottiene effetti mai raggiunti prima nel rendere la sensazione fisica e visiva dell’acqua che guizza, schizza, zampilla, scorre ed irrompe con intensità diverse, il suo baluginìo nervoso attraverso i raggi del sole al tramonto; mentre l’ombra, il mistero, la regalità monumentale e pittorica dei pini romani, sfondo di scalmanati giochi infantili a Villa Borghese, silenziosi testimoni presso una catacomba del clandestino terrore dei cristiani perseguitati, quinte svettanti sull’imbrunire del Gianicolo o propilei naturali degli antichi trionfi imperiali, trovano nella tessitura respighiana corpo e fragranza, solidità e morbidezza. Eternati nel 2007 in un’epocale incisione discografica per la EMI (accompagnata da un documentario realizzato dal sottoscritto che risulta finora l’unico tentativo di abbinarli integralmente alle immagini naturali e reali che li hanno ispirati) da Pappano e dall’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, Fontane e Pini di Roma sono riesplosi in tutta la loro maestosa e scenografica potenza nell’Auditorium del Parco della Musica, trascinando il pubblico che assiepava la Sala Santa Cecilia ad un’ovazione interminabile, alla faccia dei “puristi” e degli “avanguardisti” che, miseri, continuano a storcere il naso: l’augurio migliore per l’esito trionfale della tournée iniziata a Zurigo e che si concluderà ad Essen, in Germania, il prossimo 13 maggio.


Roma, Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Concerto Sinfonico del 27, 28 e 29 aprile 2017; Direttore Sir Antonio Pappano; Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia; Musiche di Dubugnon, Čaikovskij, Respighi.


Enregistrer au format PDF