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La terre outragée

Pubblicato il 4 settembre 2011 da Simone Isola


La terre outragée

25 aprile 1986. Pripyat è una moderna città di cinquantamila abitanti immerse nelle campagne ucraine; Anya e Piotr festeggiano il matrimonio con amici e parenti sulle rive del fiume, in un clima di festa e speranza per il futuro. Il piccolo Valery pianta un melo con l’aiuto del padre Alexei, uno scienziato. Siamo ancora sotto il comunismo, ma Pripyat sembra respirare un clima di libertà. Il tempo però sta cambiando. Sul cielo si addensano numi e partono scrosci di pioggia. Una pioggia insolita, nera, che in poco tempo provoca la morte di molti animali. Mentre Anna canta agli invitati del matrimonio la canzone Million alih roz, vediamo che sul suo sguardo cala una strana inquietudine. Piotr viene infatti avvicinato da altri colleghi; lavora come pompiere, è scoppiato un fuoco nel bosco e c’è bisogno del suo intervento. La festa, nonostante i malumori di Anya, continua. Ma Piotr non tornerà più da quella missione. Pripyat infatti sorge accanto alla centrale nucleare di Chernobyl, e l’incendio è in realtà il più grande disastro nucleare della Storia. Quella comunità così viva e quel paesaggio così affascinante scompaiono dal film. La pioggia radioattiva contamina ogni angolo della città, la cui popolazione viene sfollata solo dopo quattro giorni. Dieci anni dopo, in uno scenario apocalittico, Anya ritorna in quei luoghi come accompagnatrice di visite guidate. E’ sfiorita come il paesaggio ucraino, ora ricoperto da neve. Fuma e perde capelli, tanto da indossare nel tempo una parrucca bionda. Il suo corpo porta i segni inequivocabili della malattia.Potrebbe cambiare vita, abbandonare quei luoghi e seguire a Parigi Patrick, l’uomo che ama. Non può però avere dei figli, a malattia le toglie ogni prospettiva futura. Alexei è disperso e Valery, ormai ragazzo, si aggira per questa Pompei del XX secolo alla ricerca di “segnali di vita” che possano aiutarlo a recuperare il proprio mondo distrutto, quello dell’infanzia perduta con la sparizione del padre. La neoregista Michale Boganim illustra la tragedia con un occhio antropologico e privo di enfasi; l’incidente nucleare non viene descritto in termini cronachistici ma come una brutale violenza nei confronti della natura e dell’uomo (sebbene provocato proprio dall’uomo). Prima dell’evento infatti su quei territori brilla una primavera feconda, fatta di splendidi luci e colori. Come l’orologio alla stazione di Bologna, la tragedia blocca il tempo di Pripyat, cristallizza la città in un bianco inverno senza speranza e nel silenzio più innaturale. I luoghi di aggregazione, le case, non sono altro che vuoti simulacri di una presenza umana ormai estinta. Queste vite stroncate pesano come un macigno sulla nostra coscienza, anche agli occhi della recente tragedia di Fukushima. Il film della Boganim affonda il coltello nel dolore più intenso e commuove per lo stile asciutto e privo di facili simbolismi. Giunge così chiara la riflessione sul legame tra l’individuo e la propria terra, un legame che il progresso tecnologico non può in nessun caso mettere a rischio. Il tutto espresso con uno stile documentaristico che restituisce, palpitante, il senso tragico di queste “vite interrotte”. Insomma, un gioiello della Settimana della Critica


CAST & CREDITS

Regia: Michale Boganim. Sceneggiatura: Michale Boganim, Anne Weil, Antoine Lacomblez. Fotografia: Yorgos Arvanitis, Antoine Heberlé. Montaggio: Anne Weil, Thierry Derocles. Suono: Frédéric de Ravignan, François Waledisch. Scenografo: Bruno Margery. Interpreti: Olga Kurylenko, Illya Iosivof, Andrzej Chyra, Vyacheslav Slanko, Nicolas Wanczycki, Serguei Strelnikov. Produttore esecutivo: Les Films du Poisson. Produzione: Les Films du Poisson, Vandertastic, Apple Film. Distribuzione internazionale: Le Pacte. Origine: Francia, Germania, Polonia, Ucraina. Durata: 105min


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