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LA VIDA QUE TE ESPERA

Pubblicato il 18 febbraio 2004 da Antonio Pezzuto


LA VIDA QUE TE ESPERA

Storia complicata, quella de La vida que te espera, storia di rapporti tra uomini e vacche, tra sorelle, tra padri e figlie, tra uomini e donne, tra città e campagna. Ambientata in un paesino della Galizia, non si tratta di una “storia antropologica”, ci tiene a far sapere il regista, ma un racconto sul lato primitivo che è in ognuno di noi. Storia molto complicata, si diceva, che prende spunto da una mucca che scappa, per poi raccontare di un vecchio pazzo che rapisce la figlia del proprietario della mucca, dell’omicidio di questo pazzo, dell’arrivo del figlio dell’assassinato (che era andato a vivere in città per fare il parrucchiere), e del suo innamoramento per la ragazzina che era stata rapita. Senza dimenticare il sacrificio di un padre, un concorso per la vacca che fa più latte (al suono di una cassetta di musica mambo), una sorellina piccola che studia e fa la danza del ventre. Alla regia Manuel Gutierrez Aragon, già molto noto al pubblico festivaliero, già vincitore di premi a Berlino, Cannes e San Sebastian (se volete notizie su di lui, il sito è una ricchissima e completa fonte di conoscenza), che ambienta questa storia di istinti primitivi tra le montagne della Galizia, terra chiusa, dove sopravvive ancora una cultura (ed una etica) legata al mondo rurale, e che sicuramente fa paura allo sguardo smaliziato di chi cittadino è, ma che probabilmente è molto più contemporanea e ricca di quanto noi si possa immaginare (e a testimoniarlo ci sono le decine di film, francesi per esempio, che negli ultimi anni su questa realtà hanno riflettuto e ci hanno fatto riflettere e, magari, qualche domanda sul perché manchi in Italia una cinematografia di questo tenore bisognerebbe porsela). Una realtà (questa contadina ed arcaica) nella quale manca una forza omogeneizzante come la televisione, e che poco è rappresentata e poco mutua dalle rappresentazioni della società che vediamo sui telegiornali o leggiamo nei quotidiani, in cui i rapporti si misurano sulla lealtà, sulla forza, sulle vecchie tradizioni che hanno impiegato anni per radicarsi. Certo, relazioni primordiali e animalesche (ci scappa anche il morto), ma pochi conflitti interni. La causa dell’omicidio (il movente, ossia la colpa dell’assassinato) è la follia, il non rispettare, appunto, questi valori. I contrasti che al contrario esistono, sono esterni. Sono con i turisti che vengono a comprare le “capanne” per metterci il parquet e trasformale in funzionali chalet invernali, sono con la polizia che ferma i camion per distruggere le quote eccessive di latte prodotte e che sequestra le mucche perché la globalizzazione richiede il rispetto del mercato (e questo è l’unico intervento dello Stato che percepiamo, perché poi, di strade e servizi essenziali, tracce non ce ne sono). Una realtà, certo, dalla quale fuggire, ma una realtà dove le ragazze possono tranquillamente camminare per i boschi la notte senza pericolo di trovarsi di fronte alcun lupo cattivo, dove i padri si sacrificano per le figlie, dove la sessualità è sfornita di sovrastrutture e si espande libera e allegra come fiume in piena. Una parola infine per Marta Etura, bellissima e sconvolgente, 25 anni di San Sebastian, già più di sei film all’attivo, che dona al personaggio di Val - ed all’intero film - innocenza, rigore e perversione.

[febbraio 2004]

regia: Manuel Gutiérrez Aragón sceneggiatura: Ángeles González Sinde, Manuel Gutiérrez Aragón fotografia: Gonzalo F. Berridi montaggio: José Salcedo interpreti: Juan Diego, Luis Tosar, Marta Etura, Clara Lago prodotto: Pancho Casal, Gerardo Herrero origine: Spagna 2004 durata: 108’

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