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La Vie nous appartient

Pubblicato il 4 settembre 2016 da Antonio Pezzuto & Mazzino Montinari


La Vie nous appartient

Sabato, quarto giorno di festival. Le trame si confondono, si intrecciano tra di loro. Iniziamo a cercare di capire cosa stiamo vedendo e cosa vogliono raccontare queste storie che stiamo vedendo. Iniziamo a cercare di capire cosa ci sia piaciuto. Io, per il momento, mi sono molto divertito a vedere il film di Tom Ford, Nocturnal Animals, una donna ricca che ha abbandonato un uomo (scrittore) dal quale non ha avuto un figlio, che legge un libro (scritto dall’ex marito) su un uomo a cui un bandito uccide moglie e figlia. Una riflessione sulle scelte, che quando si compiono hanno sempre delle conseguenze sugli altri, su quelli che rimangono. Sia quando la nostra civiltà le disapprova (il bandito), sia quando le approva e le sostiene (il divorzio). C’è chi dice che sia uno sportone cattolico integralista, e forse ha ragione. Ma i film importanti, sono anche altri.
E chiedo: "Iniziamo! Cosa ti è piaciuto?"
Mazzino dice "Non so se per un paio di film che ho visto e che ho apprezzato, il termine giusto sia "piaciuto". Penso a The War Show che indubbiamente non è un film "bello" da presentare in sala con la solita frase di circostanza "buona visione". Non esiste in un film del genere una buona visione".
The War Show è il documentario che ha aperto le Giornate degli Autori. Un film sulla guerra in Siria, un gruppo di persone ("come voi", sottolinea più volte la regista) che si trova all’improvviso in guerra, senza aver potuto avere possibilità di scelta. Continua Mazzino "È un film che colpisce al cuore e che rovescia su di noi l’idea che oggi sogniamo cose personali, e chi sogna al "plurale" è destinato al fallimento se non ad annegare in un bagno di sangue. Penso a La la land il musical di Damien Chazelle, che mi è piaciuto. Qui che mi sia piaciuto, lo posso dire senza timore. È il manifesto del sogno personale, al limite del sogno a due. Io è la mia carriera, io e il mio amore. Se perdo, alla fine incontrerò un’altra/o, di certo non verrò né torturato, né ucciso".
Io insisto su The War Show, che a me ha sconvolto. Anche per come racconta il tema dell’ineluttabilità, del fatto che in certe circostanze non possa esistere altra scelta, se non a costo di sacrificare la propria identità. E viene in mente The Counselor, di Ridley Scott da una sceneggiatura di Cormac McCarthy, dove un uomo cercava di fregare dei cattivi, e loro per vendetta gli rapivano la moglie. E il truffatore telefonava ai cattivi per sapere cosa poteva fare, e il cattivo gli rispondeva che ormai non poteva più fare niente. Che la scelta era già stata compiuta. Che, al bivio, lui aveva già deciso che strada percorrere. E la donna la uccisero. I ragazzi di The War Show quel bivio non lo hanno nemmeno potuto vedere. La loro strada è stata battuta da altri. Penso io.
E penso anche che questo è il contrario di quello che avviene nel bellissimo Safari di Ulrich Seidl, dove la crudeltà è gratuita. Un documentario su quattro pazzi che vanno in Africa e che lì ammazzano zebre e giraffe per il gusto di ammazzare, nascosti, con un fucile, uccidono animali che non li guardano. Animali che sono i protagonisti di una storia di violenza che, con quelle dinamiche, non gli appartiene. Sono loro, i cacciatori, che battono la strada per gli animali che (non) incontrano e da cui non si fanno vedere. Il loro è un sogno di dominio e di possesso.
E Mazzino dice: "In realtà anche i ragazzi che scendono in piazza per cambiare le cose diventano bersagli di una violenza non loro, di una storia non loro. In effetti forse la parola sogno è sbagliata, perché la libertà è qualcosa che dovrebbe essere intesa come interna al nostro vivere, non come un oggetto da conquistare, da desiderare, appunto, da sognare".


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