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Laura Antonelli: vita di un’attrice moderna

Pubblicato il 4 agosto 2015 da Monia Manzo


Laura Antonelli: vita di un'attrice moderna

A poco più di un mese dalla scomparsa di Laura Antonelli si riflette sulla sua controversa vita, sulla sua estrema bellezza, sul suo corpo voluttuoso in contrasto con un volto minuto e perfetto.

Caratteristiche che l’hanno fatta scegliere per il ruolo della servetta in Malizia, diventando così un’icona di sensualità e di perfezione estetica, ma soprattutto la protagonista delle fantasie erotiche di molti suoi ammiratori. Ci si chiede se possa aver conquistato "solo" grazie alla sua conturbante ed elegante bellezza il cuore dei potenti nonché quello di Jean Paul Belmondo, con cui ebbe un’intensa e burrascosa relazione d’amore. O forse dietro quell’esplosione di erotismo si celava un’anima fragile, travolta da un cinema maliardario, ipnotico che l’ha fatta recitare recitando. Molti la ricordano per uno speciale fascino, una sorta d’incantesimo dovuto a uno sguardo magnetico, che alla fine dei suoi giorni sembrava volesse chiedere di non essere più incrociato. Le poche fotografie dei suoi ultimi anni sono molto rare da reperire; mostrano una donna che non patisce la trasformazione del suo "ultimo" corpo, ma verosimilmente per l’altro quello da icona sexy del passato.

Proviamo a ripercorrere la sua carriera e a riflettere sul rapporto ossessivo e autodistruttivo con la bellezza, che spesso obbliga gli attori a subire forti violenze psicologiche come se il cambiamento dei corpi, l’invecchiamento, non fosse contemplato nel mondo cinematografico; come se un film non potesse più rappresentare o contenere un’eco delle nostre vite, ma congelarle in una bellezza eterna, che nel caso dei personaggi femminili assume delle proporzioni maniacali, non più connotati artisticamente. Da sempre esistite una forte relazione tra etica ed estetica del cinema, ma si crede che nel tempo sia degenerata fino ad essere trasformata più che in un rapporto tra elementi , in una sorta di ossessione, una rincorsa all’eterna giovinezza e non nella più nobile accezione che intendeva Faust quando vendette l’anima a Mefistofele, al contrario non si domanda nulla in cambio tranne che fermare il tempo. Quante altre colleghe non avrebbero avuto paura delle conseguenze del decadimento fisico, quando, come nel caso di Laura Antonelli, si fossero rese conto che, seppur brave attrici, non avrebbero potuto lavorare con gli stessi esaltanti risultanti astenendosi dal denudarsi nei vari lavori cinematografici. Lei stessa era consapevole del meccanismo. Del resto, era diventata una megastar, recitava per Patroni Griffi, Bolognini, Visconti, al massimo della carriera la vollero anche Risi, Comencini, Corbucci; riuscì a mischiare commedia e cinema altissimo. Eppure, anche questi maestri, questi film coltissimi la volevano sempre nuda, perché la venerazione per il suo corpo non veniva mai meno. Patroni Griffi arrivò persino a proporla senza veli per sette minuti consecutivi ne La divina creatura. Lei, negli ultimi anni, quelli del nascondimento, rinnegò tutte quelle pellicole con una frase assai significativa: «Quella non ero io». È il paradosso del nudo che non rivela, se non solo una parte di se stessi, quella epidermica. Antonelli si spogliava in ogni pellicola, eppure quello svelamento era velo, armatura, abito invisibile a proteggere «quella che ero io».

Laura Antonelli si è imbattuta, oltre che nella trappola delle false promesse di eterna giovinezza poi trasformate in un incubo costante, anche nell’altra grande amica/nemica di molti artisti e addetti ai lavori: la cocaina. Ormai droga abusata che non scandalizza il sentirne spesso parlare, ma ci si dimentica che nella vita di molti ha rappresentato contemporaneamente l’inizio dei fasti e la fine del successo. Non è un caso che l’uso della droga fosse stato una costante nella vita dell’attrice che forse l’ha poi sostituita con la religione, una seconda modalità di trasfigurazione di un corpo che ormai detestava sino a distruggerlo. Molti hanno cercato con voyeristica volontà d’indagine di intervistarla per carpire il segreto del suo disfacimento e di capire cosa le fosse accaduto in carcere nei tre anni scontati per detenzione di stupefacenti; nessuno finora è riuscito in tale impresa poiché la vita degli attori, così come la loro arte, nasconde anfratti impenetrabili, impossibili da poter giudicare o raggiungere semplicemente attraverso una semplice panoramica della biografia artistica.


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