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Le conseguenze del talento: Toni Servillo

Pubblicato il 7 giugno 2008 da Edoardo Zaccagnini


Le conseguenze del talento: Toni Servillo

Ad un certo punto alcuni spettatori, non cinefili ad oltranza, piuttosto della domenica (meglio per loro), hanno cominciato a dire che il loro attore preferito si chiamava Toni Servillo. La frase veniva colta come la solita e calcolata sparata di chi vuol millantare competenze ed impegno, e guadagnarsi la stima degli altri con la piccola furbata del nome perfetto per fare colpo, che contiene il fascino della nicchia, una risposta non banale e la verità di un attore mostro gigante su cui è difficile nutrire dubbi. Soprattutto dopo gli ultimi film, anche se certe conclusioni sono databili ad un periodo precedente. Servillo è diventato in poco tempo l’attore preferito di molti italiani. Magari due anni prima nemmeno lo conoscevano, ma poi, d’incanto e all’improvviso, é diventato il più bravo. Vero o non vero, colpì la strana esplosione di un uomo arrivato alle masse già maturo, rugoso e calvo. Entrato negli affetti del pubblico nazionale con film tutto sommato di nicchia, piccoli, soprattutto pochi, anche se spesso ben fatti e facilmente assimilabili. Servillo è riuscito a diventare famoso senza avere fatto scelte particolarmente furbe ma c’i sono donne, ragazze e persone che lo hanno messo, già da qualche anno, in cima alla lista delle loro preferenze. Prima di Favino, di Santamaria, di De Niro, di Jude Law, di Clive Owen o Denzel Washingon. Toni Servillo. Uno che dal 2004 al 2007 non ha recitato in nessun film, a parte quello di Elisabetta Sgarbi, Notte senza fine, (tra l’altro anche questo del 2004, ed esperimento ibrido tra teatro e cinema). Un attore, per certi versi più napoletano che italiano. Li ha colpiti il suo fascino, sono stati solleticati dai suoi ruoli difficili da collegare alla tradizione, poco somiglianti a tanti altri personaggi del passato. Piacque la sua pacata sensualità, la qualità simpatica del suo personaggio in viaggio tra i film. Servillo è diventato un uomo sensuale, maschio, anche bello, silenzioso e misterioso. La sua esplosione, nel rapporto con lo spettatore cinematografico italiano medio, significa molte cose, e può essere affrontata da più punti di vista: da una parte è chiaro che lui ha saputo trasformarsi, in pochissimi anni, forse senza rendersene neanche conto, da dottissimo, esperto, onesto ed apprezzato attore di teatro (con rare incursioni in un cinema local-nazionale di livello medio alto), in leader cinematografico di un pubblico di diversa generazione ed estrazione culturale. Da un altro lato significa che il cinema italiano non ha saputo creare una nuova generazione di grandi attori, visto che con tre o quattro film (parliamo di un Servillo precedente al film Il Divo e a Gomorra), un ammiccante personaggio, caratteristico e cinematograficamente schivo, ha saputo sedurre e conquistare, con tanto saper fare e poche prove, le masse che hanno afollato i cinema italiani di inizio millennio. La fama e l’apprezzamento di Servillo significa pure che c’è un cinema d’autore che piace agli italiani, tutto sommato facile da assorbire ma attento a curare gli aspetti formali della confezione. Questo tipo di cinema riesce a far sentire impegnato e divertito il pubblico. Servillo piace perchè è aiutato da un sex appeal da primo piano e da un cinema a metà strada tra l’autorialità da cinephiles e i gusti del vasto pubblico. Dire Toni e non Favino, Santamaria, Accorsi, Germano significa uscire dalla generazione, dal gruppo di un cinema italiano che non ha ancora offerto a nessuno la possibilità della prova maestra. Con Servillo c’è il trionfo di un talento virtuoso, teatrale e facciale, il via libera all’arte dell’attore, alla mimica del personaggio. Toni Servillo è entrato così nelle grazie del popolo italiano che non va a teatro: con le sue facce, l’alternanza repentina di sorriso e serietà, coi suoi silenzi profondissimi e divertenti. Con il lasciapassare di film amati come L’uomo in più, Le conseguenze dell’amore, e La ragazza del lago. Quando ride i suoi occhietti neri si trasformano in due taglietti sottili che accompagnano le linee delle rughe orizzontali della sua fronte. La sua voce raramente è urlata, molto spesso viene tirata fuori con un filo di energia, stancamente, con una calma malinconica e incantevole, quasi abbandonata al dovere. Servillo non è più un bambino. E’ nato ad Afragola, (Napoli) il 09 agosto del 1959. E’ attore e regista teatrale. Prima e durante i suoi successi al cinema. E’ stato, ed è, figura di spicco del teatro napoletano. Una passione insaziabile e antica, da autodidatta, all’oratorio, o dovunque ce ne fosse possibilità e bisogno. Negli anni Settanta collaborava con la fondazione del Teatro Studio di Caserta ed allestiva spettacoli in Italia ed Europa. Durò fino al 1984. Poi, nella seconda metà degli anni ottanta entrò nel gruppo teatrale “Falso Movimento”, fondato dal regista Mario Martone. I due capirono di poter fare delle cose insieme e fondarono la compagnia “Teatri Uniti”. Il rapporto con Martone è fondamentale per la carriera di Servillo. La sua rotta verso il cinema passa per l’esperienza col regista de L’amore molesto e L’odore del sangue. Il primo ruolo cinematografico del grande Toni è avvenuto con un bel film di Mario Martone: Morte di un Matematico napoletano (1991), accanto a Carlo Cecchi e Renato Carpentieri. Il film fu premiato a Venezia con il Premio speciale della giuria e Toni ci mise del suo. Per la regia e la recitazione, in teatro, Servillo ha ricevuto diversi premi, tra cui il “Gennaro Vitiello” nel 1986, per Guernica, da lui stesso scritto, diretto e interpretato. Il secondo film di Servillo è ancora sotto la regia di Martone, e si intitola Teatro di guerra. E’ un film duro, valido e napoletano. L’anno è il 1998 e ne sono passati sette anni dal suo esordio, escludendo il mediometraggio Rasoi (1993), realizzato sotto la direzione, ancora una volta, di Mario Martone. Il cinema è possibilità ed esperienza fino al 2001. Un modo per staccare col teatro. ma quello è l’anno di svolta per la carriera di Servillo. Gennaio 2001: un giovane regista napoletano, un certo Paolo Sorrentino, lo invita a lavorare in un suo film. Si parlerà di due persone che portano lo stesso nome, lo stesso cognome e fanno mestieri diversi. C’è qualcosa di Kielslowski, qualcosa di Agostino di Bartolomei, qualcosa di Franco Califano e molto di un autore che con quel fim inizia a far parlare molto bene di sé. Toni entra dentro un bellissimo personaggio, tra i più belli della sua ancora molto breve storia di attore cinematografico. Lo fa con tutto se stesso, con esperienza e passione. Venezia, settembre dello stesso anno. Il film è L’uomo in più, presentato in una sezione laterale della mostra. La gente sorride, si emoziona, poi applaude. Servillo si esibisce nelle sue prime battute/sentenze, poi sconvolge con un monologo strepitoso che anticipa il finale. Il suo Antonio Pisapia è un personaggio che rimane. Il film viene buttato nella distribuzione subito dopo Venezia e senza promozione. Viene premiato con il Nastro d’argento al miglior regista esordiente, però, e allora torna in sala. Stavolta c’è più pubblicità e c’è la gente (non tantissima) che lo vede e lo apprezza: questo Sorrentino potrà fare un altro film. E per farlo invita un’altra volta l’attore intrigante ed espressivo con cui è diventato amico. Lo fa entrare in un film pieno di binari e geometrie, lo fa muovere come in una partitura musicale di cui Toni deve essere strumento. E Toni lo serve. Servillo inventa il suo Titta Di Girolamo: mille facce e poche parole, muove molto il collo e poco il resto del corpo. Come per gli animali rari si attende qualche sua mossa, un suo verso acuto. Tra Antonio e Titta c’è la stessa costrizione alla solitudine, e un conto mai chiuso col passato. Questo film è Le conseguenze dell’amore ed è in concorso a Cannes nel 2004. Il talento di Toni, adesso, è sotto gli occhi della critica e del grande pubblico internazionale. La sua bravura è premiata anche con il David di Donatello e il Nastro d’argento per il miglior attore. Toni Servillo è riconosciuto importante attore italiano. Ma poi si ferma. Tra L’uomo in più e Le conseguenze dell’amore aveva lavorato con il bravo Antonio Capuano, nell’interessante film Luna Rossa, con un ruolo duro e tragico. Ma poi più nulla. Dopo il David, dopo il successo ed i riconoscimenti, dopo aver scalato il cinema ed essere arrivato ai riconoscimenti anche là, Servillo sparisce dal giro. Per trovarlo bisogna cercarlo nei teatri di tutta Italia. Lì si muove e parla da maestro. Per più due anni non fa film. Eppure le persone dicono di tenerlo come attore preferito. E questo la dice lunga sulla sua bravura, sulla sua capacità di sedurre e conquistare il pubblico. Bisogna attendere il 2007 per vederlo ricomparire all’improvviso. In settembre, col film La ragazza del lago dell’esordiente Andrea Molaioli. In novembre col film di un altro esordiente: l’attore Fabrizio Bentivoglio (Lascia perdere Johnny). La gente si convince che sia lui l’attore più bravo, ma chi scrive pensa che in questi due ruoli il bravissimo attore napoletano si sia messo a scimmiottare se stesso, e i personaggi che interpreta siano privi di spessore e di scrittura. Servillo ha palleggiato ed ha esaltato un pubblico ammaestrato. Ha recitato, preso il premio e salutato. Ha atteso che la macchina da presa lo inquadrasse e si è messo a giocherellare. Ha sbuffato, letto, da mestierante abilissimo, un paio di sentenze alla Servillo, ma di importante non ha lasciato granchè. Questo fino a pochi giorni fa. Fino all’ultimo, importante, Festival di Cannes. Poi due grandi film e due potentissime interpretazioni: Gomorra e Il divo. Servillo ha ritrovato il personaggio con Garrone. Ha letto un ruolo pesante. Ha lasciato perdere i giochini facciali e si è messo a raccontare col volto, coi tempi giusti, con parole che sono macigni. Stavolta le scene rimangono, e con esse il suo personaggio magistralmente interpretato. Poi Il divo: più in là di ogni fervida immaginazione. Impossibile pensare all’interpretazione di Servillo durante la visione. Quel mostro a sventola e voce gracchiante non era nessun attore. Era se stesso, creatura di un regista e soprattutto di un uomo invisibile che lo stava comandando.


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