X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Le Cose che parlano

Pubblicato il 29 luglio 2007 da Gaetano Maiorino


Le Cose che parlano

Realizzare un lungometraggio quasi totalmente senza dialoghi è un’impresa ardua. Tiziana Bosco, insieme allo sceneggiatore Rosario Lizzio, crea un’opera di frontiera, sperimentando un linguaggio diverso all’interno della struttura narrativa del flim: il linguaggio della musica.
Ad aiutarli ci sono le partiture di Sergio Carruba e l’apporto eccezionale del maestro Radu Jelescu, violinista di grandissimo talento che ha anche una piccola parte nel film. Le cose che parlano è un film realizzato su una interessante intuizione che è parte integrante del cinema dalle sue origini: cercare di utilizzare la musica per sottolineare l’emotività dei personaggi. La storia del cinema è costellata da grandi maestri che hanno usato la musica non soltanto come contorno alle immagini, ma dandole una caratterizzazione patica molto intensa, in accordo con le inquadrature cui era associata. Tiziana Bosco porta all’estremo questa idea, e fa della colonna sonora la vera protagonista della pellicola, fulcro centrale della narrazione, unica depositaria dei sentimenti dei protagonisti. Probabilmente il risultato non è del tutto soddisfacente. Troppo lunghi e ripetitivi i temi musicali, poco convincenti le interpretazioni degli attori, mai in completa sintonia con le partiture. Una buona idea che forse in un film più breve avrebbe dato migliori frutti.

Realizzare un film basato sulla musica rende difficile anche delineare una trama. Per grandi linee, dirmemo che il protagonista è un violinista un po’ intellettuale che, dopo aver perso un contratto discografico, cade in rovina e diventa un senzatetto. Attorno a lui appaiono come fantasmi una vecchia signora che conserva oggetti di poco valore, una ragazza intenta ad ammirarsi in ogni scena in uno specchio diverso, una donna appassionata di musica che diventa una produttrice di dischi.
Sin da subito, si nota come la musica non sia solo un commento sonoro che si limita ad fare da tappeto su cui poggiare le immagini, ma lavora sull’emotività, caratterizza i personaggi e, spesso, ne guida i movimenti. Il talentuoso artista, a cui hanno portato via la sua arte, torna nella sua casa e viene assalito dai ricordi. Le cose che parlano sono gli oggetti della sua vita, gli utensili del quotidiano, i suoi strumenti musicali. Le cose che torna a guardare dopo che la sua villa è andata in rovina insieme alla sua vita, raccontano la sua storia che si dipinge sul suo volto in un susseguirsi di struggenti memorie che scavano il viso e tormentano il suo animo.
Metafora dello scorrere inesorabile del tempo è una riproduzione della Ruota di Duchamp, opera d’arte moderna posta di fronte a una finestra, dietro una tenda che non verrà mai aperta. Un movimento ciclico, quasi a voler indicare il continuo ritorno del passato, di una vita che, grazie precisamente alle cose che ne parlano, non verrà dimenticata.


Regia: Tiziana Bosco; soggetto: Tiziana Bosco e Rosario Lizzio; sceneggiatura: Rosario Lizzio; fotografia: Angelo Strano; montaggio: Antonio Lizzio; musiche: Sergio Carruba e Radu Jelescu; scenografia: Giuseppe Busacca; costumi: Concita Sambataro; interpreti: Vittorio Bonaccorso (Violinista/Barbone); produzione: Zelig srl e Mediatrade; origine: Italia 2006; durata: 80’


Enregistrer au format PDF