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Le ragioni di uno spot

Pubblicato il 14 luglio 2007 da Salvatore Salviano Miceli


Le ragioni di uno spot

C’è chi adotta parole come commozione, patriottismo, orgoglio e chi si mantiene comunque lucido davanti a quello che, prescindendo dalla resa estetica, resta comunque un messaggio promozionale e dunque sfrutta meccanismi patetici (in grado cioè di creare pathos) e di identificazione al fine di glorificare un oggetto o, come in questo caso, un marchio. In ogni caso è interessante notare come il nuovo spot della Fiat, realizzato dall’agenzia Leo Burnett per celebrare la nascita dell’ultimo gioiellino del Lingotto (la nuova 500), abbia suscitato giudizi tra i più disparati, lontani, spesso diametralmente opposti.
Gli elogi così come le critiche si fermano però solo all’etica, o presunta tale, dello spot, all’uso cioè di immagini di luoghi, fatti storici e personaggi che, decontestualizzate, vengono reintrodotte in un nuovo percorso semantico, per sfociare, accompagnate dalla voce fuori campo di Ricky Tognazzi, nel puro e semplice messaggio pubblicitario.
Visivamente (tenendo cioè conto solo della resa finale del prodotto, lontano dunque da qualsiasi implicazione morale o moralistica) quei 90’ secondi o poco più destano interesse innanzitutto per il dialogo, assolutamente e necessariamente strumentale, che instaurano con il cinema nella riproposizione di alcuni frammenti di Nuovo Cinema Paradiso. Il film di Giuseppe Tornatore viene usato come cornice emozionale (al centro dell’opera ci sono, infatti, i ricordi di infanzia e adolescenziali del protagonista, seguendo una direttrice che dal passato volge al presente, raccontando attimi che sono divenuti memoria non solo personale ma storica) ma anche come contenitore strutturale dell’intero spot. Così, le immagini che iniziano a scorrere sembrano uscire direttamente dal vecchio proiettore di Alfredo (Philippe Noiret) per andarsi a scontrare contro lo schermo della piccola sala siciliana cui sono rivolti gli occhi del meravigliato e sognante Totò Cascio.
Al ruolo di memoria (cinematografica, personale, storica) che il film possiede già di suo, ma che in questo caso viene ulteriormente sottolineato, si affianca quello di contenitore vero e proprio del montaggio di immagini che andranno a costituire e raccontare il fine ultimo del prodotto.
L’incessante susseguirsi delle immagini domina il nostro ambiente, ma quando si tratta di ricordare la fotografia è più incisiva. La memoria ricorre al fermo-immagine (…) La fotografia è simile ad una citazione, a una massima o a un proverbio (…) Alcune fotografie possono essere utilizzate come memento mori, oggetti di contemplazione che permettono di rendere più profondo il senso di realtà; come icone laiche se volete.
Questo scrive Susan Sontag in Davanti il dolore degli altri occupandosi delle fotografie di guerra, ma le sue parole sono bene adattabili anche a questa nostra riflessione. Le immagini scelte per la costruzione dello spot raccontano di contestazione (lo sciopero allo stabilimento Mirafiori), di successi (Valentino Rossi con la Yamaha marchiata Fiat su tutti), di eventi luttuosi (Heysel), di personaggi che in un modo o nell’altro hanno segnato parte di questi cinquant’anni (Fellini, Antonioni, Falcone, Borsellino solo per citarne alcuni) che separano la nascita della prima 500 da questo suo ultimo ‘restyling’.
Nel loro immobile incedere creano un racconto che funziona proprio sotto l’aspetto emozionale, accompagnate senza eccessiva enfasi dalla musica di Giovanni Allevi (Back to life - tratta dall’ultimo album Joy). È soffermandosi sul testo recitato da Ricky Tognazzi che qualcosa inizia a stridere.
Se il montaggio, infatti, aveva un suo perché sotto la pura egida dello sguardo, l’accostamento delle parole rende il tutto un crescendo di retorica che troppo finisce per insistere sulla sola contrapposizione manicheistica del bene e male, buoni e cattivi. Ciò che funzionava da muto perde consistenza e peso con l’intervento della voce.
Non sono, dunque, le foto di Falcone e Borsellino a dare fastidio (anche quelle purtroppo appartengono alla nostra storia), ma è il vederle ridotte a semplici corollari di un testo che lentamente prende il sopravvento sull’immagine, spezzando il racconto visivo e banalizzandolo, a disturbare. Cercando di affidare alle parole un ruolo rafforzativo delle e sulle immagini si è perso il senso di un coinvolgimento che, al di là di contestazioni ideologiche e di un contenuto finale da cui è più che lecito distanziarsi (‘La nuova Fiat ci appartiene’), bene era stato strutturato.
Il resto, se sia giusto o meno servirsi di persone (ancora più che di fatti e luoghi simbolo) per un fine propagandistico, sta al senso critico di ognuno di noi giudicarlo.


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