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Venezia 77 - Le sorelle Macaluso

Pubblicato il 10 settembre 2020 da Francesca Pistocchi

VOTO:

Venezia 77 - Le sorelle Macaluso

Dal 10 settembre anche in programmazione nelle sale italiane

Giunta alla sua seconda prova cinematografica, Emma Dante porta sul grande schermo la stessa liturgia matriarcale con cui, anni fa, si fece largo fra i teatri di mezza Italia. Come Lacci, anche Le sorelle Macaluso mette in scena la decadenza di una famiglia, ma questa volta si tratta di una costellazione composta da sole donne, tutte unite da un legame invisibile e insidioso. La prima inquadratura, che immortala le ragazze mentre scrutano l’orizzonte da un buco nella parete, promette abbastanza bene: nonostante le diverse personalità, queste cinque donne-bambine appaiono sospese in una dimensione parallela perfettamente equilibrata. La loro casa è una specie di mondo incantato, su cui regnano indisturbate decine e decine di colombe che Maria, la maggiore, alleva per occasioni speciali. Magra e taciturna, Maria sogna di diventare una ballerina, e trascorre le giornate accennando passi di danza. Di temperamento più sanguigno è Pinuccia, dietro la cui selvaggia esuberanza si nasconde forse più raziocinio di quanto non possa sembrare. Lia è imprevedibile, introversa, talvolta aggressiva, talvolta incredibilmente dolce e mansueta. Katia possiede un’indole mite, e tende a lasciarsi trasportare dagli eventi in cui si ritrova coinvolta. Antonella, la più giovane, è una bambina come tante altre: vivace, allegra, fantasiosa, affezionatissima ai piccoli coinquilini alati che vivono sopra l’appartamento delle cinque protagoniste. Una tragedia distruggerà le fondamenta su cui si basa questa complicata intelaiatura familiare dalle tinte rosate: durante una mattinata al mare, una serie di sfortunate coincidenze e di colpevoli disattenzioni causerà la morte prematura della piccola Antonella. A quel punto, le fragili radici si spezzano: la cinepresa fa un balzo di circa vent’anni, e riprende le sorelle ormai adulte urlarsi addosso le proprie frustrazioni. Lia e Pinuccia si aggrediscono a vicenda, mentre un’indifferente Katia osserva la scena con sguardo assente. E Maria, sempre più pallida, inerte ed emaciata, dichiara di avere il cancro. L’ultimo capitolo segnerà una riconciliazione possibile soltanto nella morte e nella definitiva rinuncia a quell’universo puerile che smise di esistere dalla scomparsa di Antonella.

Con questa sorta di epopea in rosa, la regista ci introduce in una Sicilia inedita, abbacinante e oscura al contempo. La surreale casata Macaluso fugge dal proprio universo solo per poi rimpatriare fedelmente, come fanno gli uccellini nella voliera lasciata aperta. Eppure, la pellicola arranca in più punti: nessuna parola, per esempio, sul vuoto lasciato dai genitori, presumibilmente defunti. Certo, da un punto di vista prettamente narrativo, di questi ultimi non ce ne importa niente – peccato che la loro assenza condanni i personaggi ad un’esistenza monodimensionale. Sull’intera pellicola grava il ricordo della sorellina ormai invisibile, e solo da quel singolo lutto si genera la miccia che farà esplodere la già precaria stabilità domestica. L’obbiettivo si concentra su ciò che a lungo andare perde rilevanza: il volo dei colombi, i giocattoli di Antonella, il servizio buono di mamma, il volo dei colombi, il servizio buono, i giocattoli di Antonella, il volo dei colombi, il volo dei colombi, il volo dei colombi. Alla decima ripresa di questo tipo ci si chiede se gli sceneggiatori non ci abbiano presi per stupidi. La personalità di ognuna viene esibita in maniera ridondante e, in certi punti, perfino un po’ fuori luogo: la scena di Maria che, ormai adulta e malata, continua a danzare da sola è talmente scontata da innervosire. Non c’è nessun crescendo emotivo, nessuno sviluppo che possa definirsi reale, nessuna contestualizzazione del trauma subìto: la resa dei conti arriva all’improvviso e si verifica in modo disturbante. Dov’è la sostanza che si cela dietro a questi bei quadri? Alcuni momenti non hanno semplicemente senso, se non quello di insegnare al pubblico come si osserva il mondo: grazie mille per la lezione. La camera indugia su ciò che è gradevole o raccapricciante alla vista soltanto per mettere alla prova lo spettatore – qualsiasi interpretazione è superflua, perché si poggerebbe sulla base di immagini che esistono esclusivamente per loro stesse. Verrebbe quasi voglia di cadere in questa tela prolissa e di giocare a nascondino con gli autori, tentando di indovinare le (in realtà scontatissime) metafore che si celano dietro ad ogni fotogramma. Ma il film è talmente autoreferenziale e narcisista nella sua mise en scène che, malgrado gli sforzi, si finisce per uscire dalla sala a mani vuote.


CAST & CREDITS

(Le sorelle Macaluso); Regia: Emma Dante; sceneggiatura: Emma Dante, Elena Stancanelli, Giorgio Vasta; fotografia: Gherardo Gossi; montaggio: Benni Atria; interpreti: Viola Pusateri (Antonella), Eleonora De Luca (Maria giovane), Simona Malato (Maria adulta), Susanna Piraino (Lia giovane), Serena Barone (Lia adulta), Maria Rosaria Alati (Lia anziana), Anita Pomario (Pinuccia giovane), Donatella Finocchiaro (Pinuccia adulta), Ileana Rigano (Pinuccia anziana), Alissa Maria Orlando (Katia giovane), Laura Giordani (Katia adulta), Rosalba Bologna (Katia anziana); produzione: Rosamont (Marica Stocchi, Giuseppe Battiston), Minimum Fax Media (Daniele Di Gennaro), Rai Cinema; origine: Italia 2019; durata: 89’.


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