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Libri - I migranti nel cinema italiano

Pubblicato il 30 agosto 2010 da Alessandro Izzi


Libri - I migranti nel cinema italiano

Il punto di partenza di I migranti nel cinema italiano appare, a suo modo, assolutamente convincente. La saggista parte da un presupposto di lapalissiana semplicità: la produzione cinematografica italiana dai primi anni ’90 sino ad oggi registra una sostanziale disparità di approcci al tema delle migrazioni che va dal sentito bisogno di un confronto con l’alterità (evidente, ad esempio, nel film di Mohsen Meliti Io, l’altro) alla metabolizzazione di uno stato di fatto, di un’invasione ormai avvenuta che ha già riempito la nostra realtà di badanti e colf, di lavoratori a basso prezzo e, purtroppo, anche di prostituzione coatta.
A differenza della cinematografia inglese che è stata capace di assorbire così bene modelli culturali “altri” da arrivare a costituire lo stampo di commedia multirazziale spesso vincente al botteghino, il cinema italiano si è dimostrato sin da subito molto restìo a dare luci d’arte ad un fenomeno, come quello migratorio, sempre destinato, piuttosto, ai più foschi riflettori della cronaca nera.
Di storie di migrazioni sono pieni, infatti, i nostri telegiornali (più ancora della carta stampata) e in esse si scava essenzialmente per trovare il sordido, lo squallido e l’abominevole. Si tratta di storie di regime, necessarie a far sentire l’approdo dell’Altro sulle nostre coste come una minaccia al nostro inviolabile status quo. In esse si parla di degrado, di abbruttimento, di morte e di sopraffazione in un crescendo dolente di orrore che ripiega sempre nella consolante certezza che una leggina qui ed un provvedimento là possano risolvere la situazione ricacciando i colpevoli nella loro terra d’origine. I mass media, come nota acutamente l’introduzione a questo volume edito da Kappa, assolvono una funzione precisa: sono la cassa di risonanza di una realtà sempre più xenofoba, sempre più pronta ad evitare confronti con l’altro anche se poi, quando spegniamo la televisione, i nostri vicini di casa albanesi ci sembrano, in fondo, gente per bene.
In questo quadro il cinema sembra volersi occupare di migrazione in modo sporadico e discontinuo. I film che si occupano direttamente del tema si contano sulle dita delle mani. Sono pochi, raramente di autori di calibro e sin troppo spesso gravati da traversie produttive che hanno il sapore di una cautela eccessiva nel rischiare su storie che obblighino all’immedesimazione con eroi migranti.

Sonia Cincinelli, autrice del volume oggetto della nostra analisi, seleziona, in questa sporadica produzione cinematografico, una rosa di titoli che non è esaustiva, né esemplare. Titoli di rilievo, nell’indice del volume, ce ne sono (da Pummarò a Saimir), ma alcune esclusioni ci paiono inspiegabili: perché tener fuori discorso La ballata del lavavetri? Perché fingere di ignorare Prendimi e portami via? Perché neanche citare l’ultimo e non certo bellissimo Risi di Giovani e belli che pure, come Un’anima divisa in due, parla di Rom? La quarta di copertina ci avverte che i titoli scelti sono “i più significativi degli ultimi diciannove anni”, ma nessuno si è preoccupato di renderci edotti dei criteri sui quali si fonda il loro presunto surplus di significato.
Il vero problema di I migranti nel cinema italiano non è, comunque, tanto nelle esclusioni che, in opere di questo respiro, sono spesso necessarie, quanto piuttosto nella struttura complessiva del lavoro.
Dopo, infatti, una limpida premessa sociologica che scava anche nelle contraddizioni della Bossi-Fini (un ossimoro in questo scorcio di crisi di Governo) la saggista si addentra nel sottobosco dei pochi film sul tema con l’atteggiamento della cacciatrice di farfalle che pensa più ai colori della sue prede che all’identità della specie. Ogni film sembra storia a sé stante, ogni relazione tra i titoli appare mera utopia. E per ogni titolo il trattamento è diverso. L’analisi di Pummarò, ad esempio, si ferma al solo racconto della trama quasi che la semplice sinossi dell’opera possa esaurire ogni motivo di interesse del lettore. Viceversa Un’anima divisa in due penetra il gesto registico di Soldini cercando peculiarità di linguaggio, finezze di scrittura, analisi di sequenze.
In questo modo quello che il lettore si trova di fronte è un libello discontinuo e spesso ripetitivo che ha il pregio di essere sincero e il difetto di essere incerto. Quella che abbiamo di fronte non è un’analisi sociologica su quanto il nostro cinema è stato capace di dire in fatto di migrazioni, ma un’antologia di analisi (assai discontinua) di film che (pare quasi un caso) parlano tutti di migrazione.
A mancare è, molto probabilmente, una maggiore messa a fuoco del cinema italiano di questi ultimi venti anni. Se è vero, infatti, che il nostro cinema elegge raramente a protagonisti delle sue storie dei migranti, è altresì innegabile che raramente le nostre commedie (specie le più becere) si privano della possibilità di avere tra le proprie maschere anche quella del povero maggiordomo del Ghana o della simpatica domestica filippina.
Un’analisi dell’evoluzione di questa figura di contorno all’interno del nostro cinema di genere avrebbe, forse, potuto garantire a I migranti nel cinema italiano quel fil rouge capace di unire davvero titoli altrimenti tra loro inconciliabili.


Autore: Sonia Cincinelli
Titolo: I migranti nel cinema italiano
Editore: Edizioni Kappa
Dati: 303 pp, copertina morbiba, ill. b/n
Anno: 2009
Prezzo: 25,00 €
webinfo: Scheda del libro su sito Kappa


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