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Libri - Il cinema di Amos Gitai. Frontiere e territori

Pubblicato il 30 maggio 2007 da Alessia Spagnoli


Libri - Il cinema di Amos Gitai. Frontiere e territori

Incasellare forzatamente un’opera proteiforme come quella di Amos Gitai entro un rigido codice ‘comportamentale’, equivarrebbe ad ammettere un’incomprensione di fondo, un disconoscere le ragioni che attestano il suo fascino più intimo e segreto. La ricca filmografia del cineasta israeliano, un corpus unico coerente, che pure, a guardarlo da una certa distanza, appare deflagrato in miriadi di schegge incandescenti, rischia di scottare lo studioso che si accontenti di trarne solo letture agili e superficiali. La sperimentazione continuativa emerge, all’interno del suo fornitissimo armamentario di cifre stilistiche, come la firma più immediatamente riconoscibile. Egli si è dimostrato sempre pronto ad affrancarsi perfino dagli stilemi più radicati, avallati da una prassi registica portata avanti lungo il corso di interi decenni (tra corti realizzati per la facoltà di architettura all’Università, lavori commissionatigli dalla televisione di Stato, documentari finanziati da privati ecc… ). Cosa rimane, ad esempio, alla fine di un film convulso – e poco compreso, ma ci pensa qui Toubiana a restituirgli la dignità che gli spetta – come Terra Promessa, dell’amato piano-sequenza?
Sulle sue pellicole si è appuntato, di volta in volta, l’interesse di architetti e urbanisti, storici dell’arte e studiosi di cultura dell’immagine, specialisti di geopolitica e di storia contemporanea: così rileva, a ragione, Andrea Lissoni, nella sua prefazione al magnifico libro di Serge Toubiana, autorevole caporedattore dei Cahiers du Cinéma. I film di Gitai si situano sempre al crocevia di confini compositi (presunti o immaginari): essi traggono linfa vitale dall’incontro raro, eppure fecondo, tra istanze identiche, spesso sorprendentemente avvertite da schieramenti contrapposti (mondo arabo e Israele, universo maschile e femminile): E ancora: cronaca e Storia, politica, guerra, economia. Di tutte queste materie si compone l’affascinante tessuto arabescato che Gitai va componendo da anni. Ma, a voler trascendere i contenuti più epidermici, ci accorgiamo di come, ogni volta, le sue pellicole abbiano lavorato a contaminare perfino le idee (di frontiera e di territorio) e financo le tecniche stesse di ripresa: le sue, ad esempio, sono opere di mera fiction o, magari, anche, documentari spuri? Entrambe, evidentemente. Racconti di fantasia che assurgono ad un valore testimoniale che, purtroppo, vanta davvero pochi eguali nel panorama contemporaneo. Proprio in quel moto a voler oltrepassare la materica evidenza delle cose, che, in una Terra come il Medioriente, vede una situazione di stallo perenne, risiede il vero motore della sua attività registica.
Già da tali, prime valutazioni, si evince l’estremo interesse che riposa nel lavoro di uno dei cineasti indipendenti maggiormente apprezzati su scala mondiale. Architetto per formazione, sorprende una volta di più constatare come le impalcature delle sue storie, le sue sceneggiature, rappresentino tutt’altro che punti fermi, ancoraggi saldi e imprescindibili. Solo il momento delle riprese è in grado, in Gitai, di plasmare i racconti per immagini, cristallizzandoli in una forma definitiva. Il cantiere è la metafora che meglio si attaglia al ‘metodo Gitai’ (così nota acutamente Toubiana): un approccio basato su un lavoro di scavo volto alla ricerca delle verità che, soprattutto le istituzioni locali, vorrebbero invece accuratamente occultata. E, difatti, il suo lavoro coraggioso e sempre controcorrente, gli ha attirato ripetutamente l’ostracismo da parte delle autorità nazionali. Come avvenne già per i suoi ‘cattivi maestri’: gente come Fassbinder e Cassavetes, Paradjanov e Pasolini, Rocha e Straub-Huillet. E’ possibile rintracciare agevolmente le fonti: eppure gli esiti del suo cinema non hanno referenti immediati, imponendosi nello scenario attuale in tutta la loro originalità e carica persuasiva.
Il merito più evidente del volume di Toubiana, è quello di aver dato il giusto rilievo anche ai lavori misconosciuti di Gitai: ma chiunque abbia avuto la fortuna di visionare i primi cortometraggi del regista, sa per certo come, fin da quei lavori sperimentarli scaturisse la presenza di un saldo sguardo d’autore. Toubiana riesce a ricostruire ‘in fieri’ il volto dell’opera del più noto e apprezzato autore mediorientale, facendola dialogare proficuamente – intercalandola alle dichiarazioni rese direttamente dall’autore nel corso di interviste a più riprese.
Ciò che rimane, alla fine dello ‘scavo’ è un volume estremamente denso di interesse, oltre che utile nel fornire ulteriori strumenti di lettura e chiavi interpretative ai film complessi, eppure sempre misteriosamente affascinanti, di un ormai imprescindibile protagonista del cinema contemporaneo.


Autore: Serge Toubiana
Titolo: Il cinema di Amos Gitai. Frontiere e territori
Editore: Bruno Mondadori
Collana: Sintesi
Dati: 255 pp, brossura
Anno: 2006
Prezzo: 24 €
Web Info: edizioni bruno mondadori


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