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Libri - Orson Welles It’s all true. Interviste sull’arte del cinema

Pubblicato il 7 marzo 2011 da Sofia Bonicalzi


Libri - Orson Welles It's all true. Interviste sull'arte del cinema

Dodici film in oltre quarant’anni di carriera, la maggior parte dei quali rimaneggiati senza troppe remore dagli Studios, e un’impressionante varietà di adattamenti teatrali, progetti incompiuti e apparizioni mirabolanti. Su Orson Welles (un Re poverissimo perché sulla terra non c’è un regno abbastanza grande per lui, come diceva Jeanne Moreau) sono stati scritti fiumi di parole, di volta in volta cercando di cogliere l’essenza di una personalità multiforme e cangiante, attraverso un’analisi rigorosa delle rivoluzioni tecniche apportate, una rilettura critica delle sue più controverse sceneggiature (Welles dichiarò diverse volte che ciò che più amava, accanto alla regia, era senz’altro la scrittura), o un’attenzione quasi morbosa per le capricciose pieghe di un’esistenza in cui, subito dopo la fase ascendente culminata con Quarto potere, si innescò uno smanioso ed inarrestabile processo di dissipazione.

Stavolta, nel volume Orson Welles. It’s all true. Interviste sull’arte del cinema (edito da Minimum Fax e giunto alla seconda edizione), a raccontare di sé è lo stesso Welles, nella lunga serie di interviste e incontri celebri che costellarono gli anni hollywoodiani e le lunghe trasferte europee, sempre alla ricerca di finanziatori che si imbarcassero nella sua ultima, e sempre posticipata, avventura. In allegato al volume si trova il dvd Rosabella. La storia italiana di Orson Welles, che ripercorre il lungo viaggio in Italia (circa vent’anni di vita) di Welles. Proprio come accade in Quarto potere, dove il moltiplicarsi dell’informazione occulta una verità che forse non esiste, così la ricchezza maggiore del libro consiste nella capacità di offrire una galleria mobile, e per nostra fortuna mai sintetica, delle immagini di sé che Welles elaborò nel corso del tempo, sfidando apertamente il paradosso e la contraddizione, in un incrocio inestricabile di cronaca, rielaborazione e farsa. Nella prima parte del libro, attraverso gli articoli dei più smaliziati giornalisti dell’epoca vengono riproposti gli esilaranti risvolti della vicenda che gettò un giovanissimo Welles direttamente al centro della scena mediatica quando, con l’adattamento radiofonico de La guerra dei mondi, scatenò il panico in un’America ancora insospettabilmente ingenua (impareggiabile la signora che, di fronte alla prospettiva di un’invasione aliena, si rallegra di non dover pagare il conto del macellaio).

Attore, produttore, costumista, mago, riscrittore di Shakespeare e prodigio-guida della nostra generazione, lo apostrofavano gli intellettuali nel lontano 1945 e, da allora, la fama di Welles ha assunto contorni leggendari. I ricordi personali si mescolano alle testimonianze di amici e detrattori, alle discussioni appassionate sul cinema e sul teatro, ma anche sui meccanismi di Hollywood e della politica (Welles, amico di Roosvelt, accarezzò l’idea di una candidatura per il seggio che sarebbe poi stato occupato dal detestabile McCarthy e, in seguito, ripeté spesso, con una buona dose di enfasi, che avrebbe potuto salvare il Paese dal disastro) nelle interviste per i Cahiers du cinéma o per la BBC. Welles, discettando su ogni argomento con arguzia, si rivolge all’intervistatore di turno con il sorriso sornione di Harry Lime, finendo invariabilmente per disarmare e conquistare l’interlocutore, tanto che un emozionato André Bazin così lo descrive: «olimpico come Giove, ma un Giove amabile, maneggiando il sigaro di venticinque centimetri come la freccia di un fulmine e modulando con disinvoltura il tono melodioso della voce, Orson Welles era il Magnifico in persona».

Dalle interviste emerge l’amore potente, radicale per il mondo dell’arte, per la storia (a seconda dell’umore, Welles amava definirsi un Uomo del Medioevo o del Rinascimento) e per la letteratura (Shakespeare in primis), accanto all’irrefrenabile istinto che lo conduceva a riplasmare ogni materiale che gli passasse per le mani, sfidando i puristi con sperimentazioni sceniche (il Machbeth, interpretato solo da attori neri e da stregoni vudù, messo in scena ad Harlem nel 1936) e visive (dalle innovazioni tecniche di Quarto potere al barocchismo dei film successivi) sempre più azzardate. Nel corso degli anni molti gli rimproverarono di aver tradito le aspettative iniziali e di dilapidare intere fortune in progetti rovinosi ma Welles, che si era ormai costruito la fama di millantatore in grande stile (e che di questa maschera si prende gioco in F-For Fake), pur saltando con foga crescente da un set (spesso di serie Z negli ultimi tempi) all’altro, rimase in fondo sempre fedele a quell’immagine di “sperimentatore di professione” che lui stesso, fin dall’inizio, si era preoccupato di alimentare (non a caso, uno degli ultimi progetti, The other side of the wind, racconta la storia di un vecchio regista, interpretato da John Huston, alla costante ricerca di denaro). Se gli si chiedeva perché mai, con il suo multiforme talento, si ostinasse ad occuparsi di cinema, Welles rispondeva: «Credo di avere commesso un errore a restare nel mondo del cinema, ma è un errore di cui non posso rimproverarmi, perché sarebbe come dire che non avrei dovuto restare sposato con una certa donna, ma che l’ho fatto perché l‘amavo […]. Ho gettato via gran parte della mia vita nello sforzo di cercare denaro e di cavarmela in qualche modo, per poter fare il mio lavoro usando questa scatola di colori estremamente costosa che è il cinema, ma […] continuerò ad essere fedele alla mia ragazza».

Per approfondire:
La recensione di Close Up del libro MY NAME IS ORSON WELLES, Castoro Edizioni


Autore: (a cura di) Mark W. Estrin
Titolo: Orson Welles. It’s all true. Interviste sull’arte del cinema
Editore: Minimum Fax
Collana: I quindici
Dati: 422 pp
Anno: 2010
Prezzo: 21,00 €
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