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Libri - Woody Allen. Quarant’anni di cinema

Pubblicato il 1 aprile 2011 da Sofia Bonicalzi


Libri - Woody Allen. Quarant'anni di cinema

Uno, nessuno, centomila: Pier Maria Bocchi sfida il mito di un Woody Allen sempre uguale a se stesso e impermeabile ai mutamenti della società, restituendoci la stratigrafia di un autore fedele ad un poetica ben precisa, ma non semplicisticamente riassumibile nella manciata di aggettivi che la critica, non solo italiana, solitamente usa per ricomporre l’allenismo e spiegarne il consenso (quasi) sempreverde. Evitando di rifugiarsi in un’aneddotica già ampiamente scandagliata, Bocchi va ben oltre il culto per un universo alleniano sostanzialmente chiuso, specchio e confine delle idiosincrasie private di un artista che attraversa l’esistenza «in equilibrio perfetto tra snobismo e immediatezza», in un’inscindibile osmosi fra autore, uomo e personaggio. La resistenza ad abbandonare cliché ormai collaudati determina di volta in volta fortuna e sfortuna critica delle opere che ruotano ad un centro di gravitazione permanente, forgiato da opere ormai archetipiche come Io e Annie o Manhattan. In questi film sembra esserci già tutto il Woody Allen più amato, intellettuale suo malgrado, irresistibile figurina essenzialmente inadeguata al mondo, fra slanci romantici e piccole ossessioni, in un andirivieni tragicomico fra caso e destino, che si concentra nelle battute fulminanti e nelle gag più riuscite. Tutto ciò che esula dal modello viene pressoché invariabilmente trascurato: se dobbiamo prestare fede alle interviste, Allen (che guarda fin da subito a Bergman e Antonioni) considera il dramma più interessante della “superficiale” commedia, eppure opere da camera come Interiors o (soprattutto) Settembre sono frettolosamente archiviate come manieristiche e senz’anima e, in generale, l’Allen drammatico viene regolarmente snobbato da pubblico e critica (con l’eccezione di Match point, considerato, ad oggi, il capolavoro londinese); le riflessioni sull’arte (Stardust Memories, Harry a pezzi) o sul mondo di Hollywood (Celebrity, Hollywood Ending) vengono boicottate come ingenerose o troppo pretenziose; e il valore stesso delle commedie è calcolato in misura proporzionale al fragore delle risate (per cui, per citare gli ultimi lavori, Basta che funzioni è sempre preferito a Vicky Christina Barcelona). Bocchi, scrollandosi di dosso l’indolenza di una critica che rivolge a Woody Allen sempre lo stesso sguardo, scandaglia quattro decadi di cinema, alla ricerca di risposte ad interrogativi decisamente più pregnanti: che rapporto c’è, ad esempio, fra lo spirito slapstick delle prime, disarticolate, commedie (Prendi i soldi e scappa, Il dittatore dello stato libero di Bananas) e la comicità riflessiva e vagamente malinconica di “Broadway Danny Rose”No, non credo in Dio… Ma mi ci sento in colpa», confida Danny a Tina davanti ad un bicchiere di latte) o “Radio Days”? In che modo il tagico si fonde con la commedia, mentre il senso di colpa si staglia, e poi è messo a tacere, nell’universo annichilato di “Crimini e misfatti” (senz’altro una delle vette del suo cinema)? Quanto contano davvero l’amore per il cinema (“La rosa purpurea del Cairo” è il titolo più ovvio, ma anche in “Hannahe le sue sorelle”, Mickey torna alla vita dopo aver visto “La guerra lampo dei fratelli Marx”) e gli interrogativi esistenziali, il gioco delle coppie (fra i vari, “Mariti e mogli”, “Una commedia sexy in una notte di mezza estate”) e il bisogno di rinascita (capolavori come “Zelig” e “Un’altra donna”), il senso di colpa e lo spirito yiddish? Dove finisce la lontananza in cui si dissolvono W. C. Briggs e Betty Ann nella conclusione de “La maledizione dello scorpione di giada”, o Kleinman in “Ombre e nebbia”?

La lettura, certamente personale, spesso audace e lontana dal consueto, che Bocchi fa del cinema di Allen, ci costringe a porre i nostri luoghi comuni ad una certa distanza critica, aprendo uno spiraglio a nuove possibilità interpretative. L’ordine con cui le singole opere vengono prese in esame è più tematico ed evocativo (senza trascurare il fatto che, in alcuni casi, l’assonanza è data dalle scelte tecniche e compositive, indagate nei loro nodi essenziali, soprattutto per quanto riguarda l’uso di primo piano e piano sequenza), che cronologico, ma di ogni decennio viene al tempo stesso tracciato un profilo complessivo che tenta di mostrare come il modello pragmatico di un Allen immune dai cambiamenti non rispecchi le dissonanze e le piccole rivoluzioni interne di un autore in dialogo costante, talvolta accidentato, con la propria epoca. In questo senso un certo spazio è dedicato al ciclo di film degli anni ’90, genericamente considerati minori, ma in realtà essenziali per avvicinarsi con maggior rigore alle pieghe di una poetica solo apparentemente statica e ripetitiva, ma in realtà in costante (auto) ripensamento.

Alla fine (con sollievo nostro) il mito non si dissolve, ma diventa piuttosto il nucleo originatore di una serie di diramazioni più complesse e spesso trascurate, in un libro agile e appassionante che, forse soprattutto per gli amanti più fedeli del cinema di Allen, non mancherà di suscitare innumerevoli accordi e disaccordi.


Autore: Pier Maria Bocchi
Titolo: Woody Allen. Quarant’anni di cinema
Editore: Le Mani
Collana: Cinema Registi
Dati: 216 pp, foto col
Anno: 2010
Prezzo: 16,00 €
webinfo: Scheda libro sul sito Le Mani


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