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LO STRANO CASO DI H2ODIO

Pubblicato il 12 maggio 2006 da Edoardo Zaccagnini


LO STRANO CASO DI H2ODIO

Indiscutibilmente Infascelli rappresenta un volto delineato per chi ama quel cinema di genere che gli anni settanta italiani hanno reso importante. Eppure il suo pacchetto filmico si forma alla fine di un mucchio di altre pellicole e trae la sua originalità dalle influenze che queste hanno esercitato sulla psiche di un individuo simpatico e predisposto. Da quello che si vede e che si sente dire in giro, riguardo la sua trilogia abbondantemente insanguinata con piacere, l’attenzione artistica del quasi quarantenne romano è rivolta soprattutto all’aspetto sensuale: occhi e orecchie godono alla bellezza sincopata dello scorrere luminoso e meticolosamente sonorizzato della sua proposta. Ne risente l’elaborazione intellettuale che vorrebbe l’emozione da una ricostruzione narrativa basata sugli antichi rapporti di causa ed effetto. Siamo al pericoloso individualismo di forma e contenuto, definibile nella metafora di fumo e arrosto per chi bada alla vita filmica di fatti e parole messe in recita, e se ne frega del linguaggio intrinseco, della specificità cinematografica e del dominio dell’immagine sul racconto. Infascelli gira bene, dicono tutti quelli che hanno almeno visto. Già, perché per certi nomi, nel rapporto con un passato pesante ed un cognome che puzza di raccomandazione, spesso si parla anche senza sapere. Chi conosce veramente bene però, non può celarsi la sensazione di un conto che non torna mai del tutto. Bello l’armadio, bella la cassapanca, bello, bello, bello tutto! Ecco, mo te ne poi pure annà! La citazione bassa e colorita serve a cogliere il limite che l’opera infascelliana costruisce nel momento in cui si compiace dello stile agglomerato in anni di visioni appassionate e studi. Ad elencare il debito che Alex accumula in soli tre film si fa mattina e il giro del mondo. In un andirivieni di passato e presente che fa venire il mal di testa ed obbliga il critico ad un esercizio buono a dimostrare la sua valenza in ambito. Argento, Lynch, Fincher, Martino, Fulci, Bava, Jee-Woon, Carpenter, Muccino, Craven, tanto per rimanere al cinema e lasciar stare la finestra dei pittori e quella degli scrittori. Il suo cinema è una serie impressionante di colori e suoni montanti risentendo di quella passione per la musica che in più di un caso è diventata professione. Il pop italiano degli ultimi dieci anni ha incontrato in più di un caso la fluorescente visionarietà del regista di Almost Blue. I suoi video lasciano un solco indelebile nella concezione che egli ha del film ed impediscono all’approfondimento (non solo) psicologico dei personaggi di crearsi uno spazio (per alcuni) vitale. Ci sono pellicole ardue che impediscono all’attento osservatore la minima distrazione, film in cui l’intimo segreto può nascondersi dovunque: in una parola, in un’immagine, in una riflessione raffreddata e generale dell’insieme finito. Nessuno lo nega e nessuno fugge da quest’obbligo semi professionale. Altro è invece uno stato di fatica provocato dalla superficialità con cui il discorso poetico è stato impostato. Con Infascelli si ha quest’impressione: un sentire netto che il suo scopo stia tutto nell’affascinante e forse seduttivo rapporto tra visione ed ascolto. L’immersione nasce da questo solido e manifesto mestiere di compositore audio visivo e la riemersione asfissiata da una conseguente incompetenza nel narrare, che solo in parte si spiega con il disinteresse. Ciò che unisce Almost Blue, Il siero della Vanità e la semi singolare distribuzione di H2odio, è una struttura drammaturgica insufficiente e una stretta sorveglianza alla qualità estetica. Dietro questa dicotomia non sembra esserci molto nel cinema di Infascelli, salvo un importante discorso a proposito dell’alternativa via distribuitiva in cui si è avventurato. Questo, tuttavia, non rientra in un approfondimento interno al suo mestiere. La diminuzione degli spettatori in sala, l’aumento forte della spesa in dvd e vhs (soprattutto laddove legata alla vendita di quotidiani e periodici) sono argomenti interessanti ma di carattere sociologico. Con Infascelli si potrebbero scoprire tutti gli aspetti interessanti di questo sconvolgimento “forzato”, perché nessun racconto è più dettagliato e veritiero di quello che fa chi vive il fatto in prima persona. L’ora e mezza-due di film, comunque, sono temetica diversa. Importante ed attuale, ma esterna alla visione. Se ne parlerà!

Maggio 2006

Regia: Alex Infascelli; Sceneggiatura: Alex Infascelli, Vincent Villani, Montaggio: Consuelo Cantucci; Fotografia: Arnaldo Catinari; Interpreti: Chiara Conti, Mandala Tayde, Anapola Mushkadiz, Olga Shuvalova, Mauro Corazzi (Platinette); Produzione: Andrea Marotti, Loris Curci; Origine: Italia 2006


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