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LUCIEN PINTILIE

Pubblicato il 6 giugno 2004 da Mazzino Montinari


LUCIEN PINTILIE

Per la quarantesima edizione, la Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro ha scelto di omaggiare con una retrospettiva completa il regista rumeno Lucian Pintilie. Una decisione non casuale dato che Pintilie ebbe modo di farsi conoscere al pubblico italiano e internazionale nel 1966 proprio nella cittadina marchigiana con l’opera prima Domenica alle sei (1965) e, successivamente, quando tornò qualche anno più tardi con il secondo film, La Ricostruzione (1968). A parte queste due opere, viste peraltro solo dai frequentatori del festival di Pesaro, in Italia è stato possibile ammirare Un’estate indimenticabile (1994), con protagonista l’attrice americana Kristin Scott Thomas, e Terminus Paradis (1998), Gran Premio Speciale della Giuria a Venezia. Gli altri film non sono mai giunti in Italia e, dunque, con questa retrospettiva abbiamo potuto scoprire un autore che, pur essendo sostenuto in gran parte da produzioni francesi, nei soggetti che ha trattato non si è mai allontanato dall’amata-odiata patria.
La Romania e la sua tormentata storia sono sempre state al centro dei film di Pintilie e non poteva essere altrimenti, dato che il regista scontò in prima persona il suo viscerale e indipendente modo di esprimersi con un lungo esilio durato circa un decennio. Il regime comunista non perdonò a Pintilie di aver messo in scena senza alcun filtro le barbarie di un sistema burocratico militare che portò la popolazione a un progressivo svuotamento dei valori etici e politici. Una critica corrosiva presente nelle prime due opere già citate e incrementatasi poi negli altri lavori. Una dura accusa che ha trovato la sua massima espressione con la tragica caduta del “nemico” Ceausescu. Per quanto paradossale possa sembrare, Pintilie costretto al silenzio cinematografico (durante l’esilio francese si dimostrò un regista teatrale prolifico) dopo aver realizzato Perché suonano le campane Mitica? (girato nel 1981 ma uscito solo nel 1990), appena tornato dietro la macchina presa cominciò ad attaccare duramente la Romania del post-comunismo. E certamente non per un’improvvisa forma di nostalgia dei tempi che furono. Al contrario, il suo modo di fare cinema trovò una logica consequenzialità poiché il regime comunista aveva a tal punto dis-umanizzato l’uomo da renderlo un essere definitivamente incapace di riappropriarsi delle qualità umane. Sarebbe dunque un errore di prospettiva interpretare i film del regista rumeno in chiave revisionista.
Film come La quercia (1992) e Troppo tardi (1996) narrano con lucidità una transizione storica che non coincide, tuttavia, con quella morale e politica. Se nell’Amleto, compiutasi la tragedia, sopraggiunge Fortebraccio e su di lui si ripongono le speranze per una nuova ricostruzione che elimini il marcio, nei film di Pintilie quel marcio continua a resistere trasformandosi solo nelle apparenze in qualcosa di falsamente attraente.
L’eroe è sì il “folle” shakespeariano, immune dai condizionamenti del regime, che riesce a provare ancora dei sentimenti autentici e che grazie a essi è in grado di cogliere quel non so che capace di orientarlo in un mondo privato dei punti cardinali. Ma intorno al personaggio positivo si muove una moltitudine corrotta in preda alla schizofrenia e a shock emotivi privi di senso. Niente è più in grado di legare un individuo all’altro e a concludere la parabola di questa visione cupa dell’umanità (solo rumena?) ecco la sequenza finale di Niki e Flo (2003): esasperato dalla stupidità di Flo, il prototipo del rumeno post-comunista, Niki si presenta a casa sua e gli fracassa il cranio con una martellata. E’ l’epilogo di una storia cominciata nel 1965 con Domenica alle sei, quando due giovani antifascisti provavano disperatamente a contrapporre il loro amore e desiderio di vivere insieme alla progressiva insensatezza del mondo. E per Pintilie pare che a vincere irrimediabilmente sia stata proprio questa insensatezza.

[giugno 2004]


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