Ma quando arrivano le ragazze?

Scottatosi nel 2001 con l’improbabile kolossal medievale I cavalieri che fecero l’impresa, ritornato a filmare a pieno ritmo con il medio budget che divenne un’abitudine dopo i primi inattesi ma meritatissimi successi, il bolognese Pupi Avati a distanza di qualche anno dal fortunato Il cuore altrove, ritorna a parlare di se stesso e della sua Bologna. Lo fa come al suo solito, in un racconto che ha dell’autobiografico. Inseguendo perennemente quell’intimo tempo perduto che è da sempre la base del suo discorso, della sua ricerca cinematografica. Anche se, a una prima lettura, la storia di questo ultimo film sembra rimasticata da una nota pubblicità di una carta di credito che parla di matrimoni mancati, trombe e scelte per passione. Ma quando arrivano le ragazze? al di là degli scherzosi paragoni, è un opera di intimismo corale che si attesta tra le migliori di questo sentimentale e prolifico autore. È il jazz composto dal maestro Riz Ortolani, con la sua armonia sbilenca e le sue tonalità tristi e leggere, ad essere il vero protagonista del film. Spulciando nella sua sterminata filmografia, più che al biografico Bix, questo film somiglia al televisivo Jazz Band, ispirato a quel mondo di giovani musicisti girovaghi di cui lo stesso Avati fece parte suonando il clarinetto nella Rheno Jazz Band che aveva tra i membri anche Lucio Dalla. Ménage - à - trois fra la passione per la musica che lega gli amici Nick e Gianca, conosciutisi sul treno che li riportava a Bologna dopo Umbria Jazz. Rapporto complesso e difficile che valica le classi sociali e le diverse situazioni di vita. C’è chi suona per diletto e chi per sopravvivere alla ingiustizie del mondo. Nel microcosmo della piccola città e della musica, penetrerà la bellezza dirompente di Francesca (l’odiosamente televisiva Vittoria Puccini) che dividerà l’amicizia e farà venire a galla le verità. Tra la passione e il talento, l’amore e l’arte. Il mondo si divide di colpo: chi diverrà musicista acclamato e chi sposerà la donna del cuore, accasandosi e trovando subito suo malgrado la tanto agognata posizione sociale. È sintetizzato in questa spartizione il cinema borghese di Avati, quello più tormentato, che sin dal tempo dei suoi Impiegati scandaglia i fondali della società mettendo a confronto gli animi e le volontà, e quello che si fa schiavo della memoria, in cui si ritaglia una parte dolente anche un Johnny Dorelli quanto mai intenso. Sarà quando Gianca sentirà col peso dei suoi anni addosso il pezzo da loro scritto, eseguito in un concerto dall’amico Nick, che i protagonisti torneranno a fare i conti con la memoria, quella cosa che secondo Franz Brentano: aduna fantasmi e più su di essi si sofferma più li rende immaginarii.
[febbraio 2005]
Regia, sceneggiatura: Pupi Avati. Fotografia: Pasquale Rachini. Montaggio: Amedeo Salfa. Musica: Riz Ortolani. Interpreti: Claudio Santamaria, Vittoria Puccini, Paolo Briguglia, Johnny Dorelli, Augusto Fornari, Enrico Salimbeni, Manuela Morabito, Eliana Miglio, Cesare Cremonini. Produzione: Antonio Avati per DueA Film e RAI Cinema. Origine: Italia 2005. Durata: 146’. Distribuzione: 01 Distribution.
