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Maggie’s Plan (Panorama)

Pubblicato il 18 febbraio 2016 da Matteo Galli

VOTO:

Maggie's Plan (Panorama)

Presentando il concorso della Berlinale di quest’anno il direttore Dieter Kosslick ha dichiarato che ciò che contraddistingue i film trascelti è “die Suche nach dem Glück”, la ricerca della felicità, qualunque essa sia: un nuovo paese con nuove opportunità come in Soy Nero o in Fuocoammare, l’amore come in Cartas de guerra o in Quand on a 17 ans, la libertà come in Alone in Berlin o l’arte come in Genius. Ma che cos’è la felicità in uno dei film più attesi (e come il film di Moore già visto a Toronto), inserito nella sezione “Panorama” intitolato Maggie’s Plan, regia di Rebecca Miller, con un cast di prim’ordine, vale a dire, Greta Gerwig (Maggie), Juliane Moore (Georgette) e Ethan Hawke (John)? Maggie la felicità intende programmarla a tavolino, non una ma addirittura due volte, nel film. La prima volta decidendo di diventare madre tramite il ricorso allo sperma di un ex compagno di college, portato per la matematica e dunque con i geni buoni – tanto, superata la trentina, ha capito che non sarà mai in grado di tenere in piedi un rapporto per più di sei mesi. Ma il piano salta perché Maggie s’innamora di un suo collega (precario) di Washington Square, della NYU, aspirante scrittore (dopo Genius anche lui clamorosamente bisognoso di editing; by the way, a un certo punto fra le possibili opzioni di pubblicazione viene menzionata anche quella di Scribner’s and Sons, la casa editrice di Max Perkins), alla fine lo sposa e ci fa una figlia, anzi no viceversa. Senonché John era già sposato prima con Georgette, matrimonio d’inferno, universitaria anche lei, ma a Morningside Drive, alla Columbia con tenure, il tempo indeterminato, tanto agognato. E l’aspirante scrittore precario, semplicemente schiacciato dall’ego dominante di Georgette, non aspettava altro che la dolce ingenuità di Maggie.
Le loro materie di insegnamento sono tutte un programma, Maggie, ancora ancora, insegna arte e management, ma John addirittura insegna una disciplina che si chiama “ficto-critical anthropology”, wow. Quando Maggie ruba John a Georgette la moglie, in fondo innamorata solo di sé e della sua vita superintellettuale, un po’ ci sta male, ma di lì a poco si limita ad elaborare il lutto scrivendoci sopra un’apprezzata monografia con un titolo fantastico: Bringing back the Geisha. Attenzione: è tutto molto spigliato e divertente, la sceneggiatura funziona a meraviglia, i dialoghi sono brillanti, un po’ Woody Allen vecchia maniera, un po’ Harry ti presento Sally, un po’ Noah Baumbach (che è poi il compagno di Greta Gerwig), un po’ anche Un giorno…per caso. Anni luce, per intenderci, dall’intellettualismo forzoso del film con la Huppert, a dispetto del fatto che anche qui a un certo punto salta fuori Žižek.
Ma torniamo a Maggie, sul cui abbigliamento improbabilissimo bisognerebbe spendere più di una parola (anche su quello di Georgette, a dire il vero). Maggie ce l’aveva detto all’inizio, lei più di tanto con un uomo non ci sa stare, anzi con John ha resistito fin troppo. Ecco allora che nella seconda parte del film concepisce e architetta il secondo “plan” rispedire il marito all’ex moglie, ma il remarriage di tante meravigliose commedie sofisticate hollywoodiane qui non va completamente a buon fine. Oltre a questo originale triangolo, ci sono i tre figli, a dispetto dell’ansia di controllo di Maggie le relazioni si intrecciano e si incasinano, alla fine ci troviamo di fronte alla classica famiglia patchwork che, notoriamente, è arrivata persino dalle parti di Checco Zalone. E nella sequenza finale Maggie si rassegna alla non controllabilità del mondo: pattinando sul ghiaccio, prova a camminare all’indietro senza vedere dove sta andando. Il film vive di New York, vive di recitazione, vive di dialoghi, di personaggi, anche quelli minori (il donatore Guy, l’amico storico di Maggie, Tony) che sono tutti convincenti, il film vive di tempi (comici) che funzionano.


CAST & CREDITS

(Maggie’s Plan); Regia e sceneggiatura: Rebecca Miller; fotografia: Sam Levy; montaggio: Sabine Hoffmann; interpreti: Greta Gerwig, Julianne Moore, Ethan Hawke, Bill Hader, Maya Rudolph, Monte Greene; produzione: Hall Monitor, Locomotive, Rachael Horovitz Productions, Round Films; origine: USA, 2016; durata: 116’


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