Meglio che mai!
È così che sta Isabel dopo che il marito l’ha abbandonata per una ragazza più giovane che gli sta dando un figlio.
Lui vuole sentirsi di nuovo un ragazzino, capace di tirar tardi in discoteca e di far sesso senza freni come meglio può. Lei almeno all’inizio è contenta delle rughe e dei segni di decadimento fisico che non vuole in alcun modo contrastare. Del resto l’estremo approdo del femminismo non è apparire sempre giovani ad ogni candelina che si aggiunge sulla torta, ma rivendicare l’inizio della mezza età come una conquista di cui andar fiere.
Lasciata dal marito, Isabel è quindi lasciata anche sola ad affrontare le continue vampate della menopausa che riempiono le giornate insieme con le cure di un lavoro in cui è brava e di successo. Sicché le sue giornate risultano scandite dalle tappe obbligate di un programma preciso, in cui ogni cosa è al suo posto e lì dove la lasci, là la ritrovi senza perder troppo tempo ed energie a cercarla da qualche altra parte.
Isabel è sbrigativa. Il suo è un passo veloce e marziale che non ammette «se» e «ma». Va dritta al succo della questione e non si perde in chiacchiere. Come quando il marito la lascia tra mille giri di parole mentre lei legge il giornale e aspetta che lasci l’appartamento. In fin dei conti in quel matrimonio non è che ci avesse creduto anche lei fino in fondo. È ormai stanca routine neanche allietata da qualche orgasmo che il marito, a quanto pare, è sempre stato incapace di regalarle.
Ad un certo punto della sua esistenza, però, Isabel viene abbordata sul lungofiume, che è scenario di una processione con tanto di statua della Madonna, da un misterioso sessantenne messicano che le apre le porte del piacere e dell’illecito e per lei è una seconda giovinezza senza bisogno dell’intervento del chirurgo a tirar su un po’ di tette.
Dolores Payas, regista di Mai stata meglio, descrive con decisa partecipazione la storia esemplare di una donna in carriera come tante. Obbligata a prendere decisioni in tutto, tra vita e lavoro, Isabel è, infatti, un po’ l’archetipo della donna di città con lavoro e grande appartamento in centro cui manca solo un po’ di soddisfazione sessuale per diventare quella buona canaglia che accetta pure che i dipendenti si portino il loro cane sul posto di lavoro.
Attraverso la sua storia non certo esemplare, la regista gioca di rimessa almodovariana, cercando nel tratto acre del fumetto sarcastico le tracce di un malessere esistenziale che parli a tutti.
Il ritratto, in fondo, le viene bene grazie anche alla prova assai felice di Victoria Abril che dà alla sua Isabel una grinta non scevra di fragilità e tenerezze.
Quel che al film non riesce è, piuttosto, la capacità di un discorso che sappia andare davvero più in là del ritratto di insoddisfazione in un interno borghese. E il linguaggio cade troppo nei limiti del suo genere per farci avverare veri sprazzi di originalità.

La qualità audio-video

Generalmente buono, il quadro rivela colori abbastanza brillanti anche se, a dirla tutta, il nero spesso si rivela un po’ più piatto del dovuto e del necessario. Nel complesso la visione scorre piacevole, ma si ha l’impressione che qualcosa in più poteva essere fatta.
Il 5.1 è stato utilizzato solo nella traccia italiana e pare, per lo più abbastanza superfluo dal momento che mancano, nel film, momenti che richiedano davvero un coinvolgimento stereofonico di tutte le casse dell’impianto. Il 2.0 della seconda traccia italiana e dell’originale spagnolo sono, comunque, puliti e più che sufficienti.

Extra

Assenti.