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MAKE MY DAY

Pubblicato il 18 novembre 2004 da Antonio Pezzuto


MAKE MY DAY

Prima di ogni altra cosa, una precisazione: quando, verso la fine del film, Hee-Jin e Judith, di nuovo a Berlino, vanno a ballare in un locale, non credete loro quando dicono che la musica in questo locale è brutta. Sono dentro al Kaffeburger in Torstrasse, luogo mitico dove, due volte al mese, suona Wladimir Kaminer, dj e scrittore, protagonista della Ostalgie, la nostalgia per quando il muro c’era ancora, che riempie la piccola sala con carta da parati rosa di centinaia di persone che si muovono sui ritmi del rock russo degli anni Settanta. Detto questo, si può iniziare a parlare di Make my day, ossia il percorso di Hee-Jin (a Berlino, poi a Parigi e - dopo una breve sosta in un campeggio - di nuovo a Berlino), donna coreana, libera e felice, che purtroppo deve sottostare alla legge per la quale in ogni cosa che tocca porta dolore e tristezza. Che in realtà non è nemmeno poi tanta, trattandosi solo di uomini che la mettono incinta e poi vengono da lei brutalmente abbandonati, di altri che si spacciano per grandi amori e poi si fanno scoprire mantenuti di lusso a casa di signore attempate ed avanti con gli anni, o di burloni americani, in viaggio di piacere col sorriso idiota stampato sulle labbra. Un film sulle relazioni di coppia, quindi, viste dal punto di vista della donna, perché solo della donna si parla, e perché dietro la macchina da presa, a sua volta, c’è un’altra donna, Henrike Goetz, quasi quarant’anni, studi di cinema prima a Roma e poi di nuovo in Germania, ad Amburgo. Hee-Jin è una persona qualsiasi, parla qualsiasi lingua, si muove per qualsiasi città. La sua è una classica figura archetipica, quella della nuova donna, che se la cava da sola, che soffre per amore e che per amore fa soffrire, una donna normale, pura nel suo esistere, e per la quale la legge di cui si diceva (dare in ogni caso dolore), non dipende da un suo particolare modo di essere, ma è il semplice “essere donna” che la rende così, perché questa è la storia dei rapporti umani, perché è in questo modo che funzionano le relazioni. Almeno nelle idee della regista che, francamente, sembra un po’ eccessiva nel suo pessimismo. O nel denunciare gli errori del tardo femminismo.

[novembre 2004]

regia, sceneggiatura, fotografia: Henrike Goetz montaggio: Henrike Goetz, Eva Könnemann suono: Franz Bubenzer interpreti: Kim Young-shin, Laurent Vivien, Lou Castel, Ralph Verpalen, Sophie Huber, Andreas Petri, Park Young-ai produzione: Patrick Orth Filmproduktion

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