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Addii: Manoel De Oliveira - Un secolo di primavere

Pubblicato il 3 aprile 2015 da Nicola Calocero


Addii: Manoel De Oliveira - Un secolo di primavere

Adesso non si potrà più, alludendo al maestro portoghese che ci ha lasciato in queste ore, far riferimento al più anziano regista in circolazione. Manoel De Oliveira, nato nel 1908 ad Oporto, ha attraversato più di un secolo di storia europea, e la morte quando purtroppo si è ricordata di bussare alla sua porta ha trovato ieri mattina, di fronte al suo inevitabile supplizio, un arzillo centenario ancora pieno di forze ed entusiasmo. Era fatto così, De Oliveira. Era pronto sempre a confrontarsi con qualche nuovo progetto. Perché dopo aver varcato il traguardo invidiabile del secolo di vita, lo splendido centenario era nel pieno di una nuova primavera creativa.

La Primavera. De Oliveira ci lascia nel cuore esatto della settimana santa. Ai riti pasquali della sua terra, tra tradizioni radicate nel tessuto della penisola iberica e tra le sfide della modernità, nel 1963 aveva dedicato proprio il superbo Acto da Primavera. Il suo film più importante realizzato durante gli anni della dittatura fascista di Salazar, un periodo amaro che purtroppo mise troppo spesso a tacere la sua voce. Proseguendo in questo parallelismo tra la sua lunga vita e gli eventi del secolo breve, questo film sulla Passione di Cristo è realizzato nell’anno del Concilio Vaticano II. Girato poi nello stesso periodo del Vangelo di Pasolini, incarna la paura per un mondo in preda ad una crisi di identità globale, arrivando quasi ad anticipare l’imminente morte del presidente Kennedy.

Oliveira era l’ultimo regista del cinema muto ancora vivente, avendo esordito all’inizio degli anni trenta con un cortometraggio dedicato al Douro. Si tratta del fiume che attraversa la sua città, Oporto, qui raccontato senza alcun commento, solamente con la poesia delle immagini in movimento. Un divertissement realizzato da un ragazzo vivace della buona borghesia, che alla passione per il cinema esprimeva anche altri “hobby” più vicini al suo status. Vedi la scherma e le automobili sportive. Nel Portogallo degli anni trenta, estrema contrada del vecchio continente, il rampollo Manoel fu pioniere in tutte queste discipline.

Il vero esordio del regista viene identificato in Aniki Bobo. Si tratta di una storia di bambini, dal taglio neorealista, che racconta i meninhos da rua di Oporto nei primi anni quaranta. Non siamo qui molto lontani dal precedente I ragazzi della via Pal, l’opera prima del nostro Monicelli che amava spesso prendere in giro il collega portoghese -più anziano di sei anni- proprio per l’età. Bisogna attendere la fine del regime di Salazar per vedere il sessantenne De Oliveira regalarci, da metà degli anni settanta ad oggi, in pratica quasi un film all’anno. A Cannes e Venezia la presenza di un film di De Oliveira rappresentava una delle poche certezze sicure per gli abituali frequentatori di festival.

Molti sono i motivi che contribuivano a rendere unico lo stile De Oliveira. Quella sua particolare attenzione nello sviluppo del racconto, con una sensibilità rivolta alla proiezione della caratterizzazione dei personaggi riflessa in una gestione del tempo assoluta e cristallina, è inutile provare a raccontarla. Bisogna viverla come un’esperienza di pura visione. Inedita e magica allo stesso tempo. Per evitare di ammorbare questo ricordo in un elenco dovizioso di citazioni, con l’ambizione di trasformare questa pagina in un omaggio che il Maestro avrebbe gradito, è opportuno focalizzare, in chiusura, un aspetto importante del suo cinema troppo spesso fatto passare in secondo piano. La centralità dei ruoli femminili nella sua filmografia. Nel 1981 venne presentato a Cannes Francisca. Il film, un raffinato affresco storico che aveva per protagonista una intensa figura femminile del XIX secolo, lo fece entrare nell’Olimpo dei grandi registi europei. Questa sua pellicola -baciata da meritata fortuna internazionale- venne letta come metafora del nuovo Portogallo uscito finalmente dal tunnel del regime.

Negli anni successivi il regista ha la fortuna di veicolare con i suoi film la carriera della più importante attrice portoghese della sua generazione: Leonor Silveira. Da I cannibali del 1988 all’ultimo Gebo e l’ombra di un paio di anni fa, l’attrice portoghese è passata dall’incarnare l’archetipo di Eva ad Emma Bovary, dalla prostituta alla suora, dai bassifondi della provincia alla corte di Lisbona. Leonor Silveira ha incrociato nel suo percorso professionale con De Oliveira – non in prima persona- anche altri massimi sistemi dell’universo femminile. Vedi la Vergine Maria e l’Angelica dell’Ariosto, mostrate entrambe dal regista sotto forma di pura epifania. La femminilità della Silveira appare completata anche dall’importante ruolo di madre offerto in Un film parlato. Una pellicola del 2003 dove un viaggio in crociera diventa metafora del nostro burrascoso inizio di millennio. Presentato a Venezia con Monicelli presidente di giuria non riuscì ad ottenere nessun premio. Si sente la mancanza della Silveira in uno dei film più curiosi del Maestro: Bella sempre. Film che nasce dalla volontà di dare un seguito a Bella di giorno. Complice principe del progetto fu Piccoli che, dopo quasi quaranta anni, riprese volentieri il suo vecchio ruolo del film di Bunuel. Meno entusiasta fu invece la Deneuve che declinò l’invito a partecipare. Abbiamo imparato così due lezioni. Una vita lunga trascina inevitabilmente qualche inimicizia. Ma se saprai sempre circondarti dalle giuste muse, riuscirai a campare bene e per più di cento anni.


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