X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Maria Goretti

Pubblicato il 27 febbraio 2003 da Alessandro Izzi


Maria Goretti

Maria Goretti, andato in onda domenica 23 febbraio su Raiuno in prima serata, sfodera, in bella fila, tutte quelle strategie commerciali e quei meccanismi narrativi che ormai sono diventati dei veri e propri luoghi comuni televisivi. All’interno di un’opera che si vuole perfettamente calata nel solco di una tradizione dai caratteri ormai ossidatisi nel marmo della pessima abitudine, c’è, allora, poco spazio per un racconto e per uno sguardo che cerchino la verità dei fatti e della storia. Quello che si compone, sotto il nostro sguardo ammirato non è, quindi, un discorso originale, criticamente motivato, né è l’aprirsi ineffabile di un novero inesauribile di domande capaci di interrogare il nostro passato recente e il nostro presente confuso, ma una splendida galleria di santini devozionali, magari resi con sapiente gusto popolare e un occhio a certa iconografia risaputa, mai capaci, però, di farci vivere fino in fondo il senso ultimo di quei valori che pure dovrebbero essere il centro poetico di operazioni di siffatto genere. E la dimensione da santino popolare ingiallito dal tempo e di bignami dello spirito e del cuore è evidente fin da subito se si guarda l’abbondante e spesso ossessivo uso di quei primi piani tutti giocati con quella morbida luce metafisica e quel ricorso alle facili lacrime di passione ed amore bagnate di colore che sono tipiche di questi piccoli oggetti di un culto sotterraneo, ma sempre vivo. Anche nel comporre gli spazi entro cui orientare il racconto, sembra sempre che il regista abbia quasi timore di allontanarsi da immediate suggestioni pittoriche (con quella tavolozza pastosa, quei bruni marcati al sapore della terra, che tanto hanno il sapore di certe tele dei macchiaioli) e che l’unico desiderio che muove la sua non facile operazione di messa in scena risieda tutta nella ricerca inesausta di colori già detti a comporre storie già narrate. Ne viene fuori un tono di fondo scopertamente naif che non dispiace mai fino in fondo, ma che lascia che parole come Perdono, Amore e Compassione restino, nel corso di tutta la visione, niente più di quello che erano sembrate a tutta prima: parole appunto! Non interviene il vero sentimento a smuoverle e ad innalzarle alle vette astruse del non detto, ma resta solo il raggelante nitore di un’organizzazione del profilmico pesantemente statica, dolorosamente inerte. Tutto si compone con la grazia inaudita di un manierista che ha perso di vista il senso del suo discorso e si limita ad inanellare paesaggetti e ritrattini che dicono ciò che si rivelano incapaci a sentire. Peccato! Perché Giulio Base, il regista, non sembra assolutamente un autore freddo e sgraziato, perché si ha l’impressione che l’autore e gli attori credano per un po’ a quello che vogliono dire, ma il novero delle buone intenzioni risulta, però come irretito da una vocazione catechistica di facile presa e buona per tutte le età. E, forse, proprio la breve sequenza del catechismo ai bambini risulta essere la metafora ideale per capire il senso del fallimento di una fiction peraltro ottimamente riuscita sotto il versante puramente tecnico (ottima la fotografia, notevoli e funzionali le musiche dei Morricone -padre e figlio-, discreto il montaggio un po’ penalizzato dalla vocazione quadrettistica della regia). Una sequenza questa che, parlando ai bambini dei più segreti e riposti significati della crocifissione di Gesù, ne perde il significato dietro il tono di una favola bella e lontana. Nel raccontare la breve vita della martire bambina (l’attrice è Martina Pinto) che preferì morire piuttosto che cedere alle richieste sessuali dell’amico Alessandro Serenelli poco più grande di lei (Fabrizio Bucci: un discreto talento), Base prende proprio quel tono da volgarizzazione facile di certa piccola letteratura devozionale. Alla fine la Storia, quella degli scioperi e dei lavoratori che morivano di fame e di malaria, resta solo uno sfondo inerte a questa storia edificante. Mentre la magia del perdono che tutto chiude in un cerchio di ineffabile bellezza viene reso solo dal sospiro improvviso della madre incredula: la sintesi perfetta della stessa reazione del pubblico televisivo che, sentendo la parola, ne capisce il significato letterale senza prepararsi, finito il film, a porgere mai per davvero l’altra guancia.

(Maria Goretti); regia: Giulio Base; sceneggiatura: Francesco Contaldo; fotografia: Fabrizio Lucci; montaggio: Roberto Siciliano; musica: Andrea Morricone con brani scelti di Ennio Morricone; interpreti: Massimo Bonetti, Luisa Ranieri, Flavio Insinna, Martina Pinto, Fabrizio Bucci; produzione: Luca Bernabei

messa in onda: domenica 23 febbraio 2003; rete: RAI UNO; orario: 20:45

[febbraio 2003]


Enregistrer au format PDF