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Medulla

Pubblicato il 17 settembre 2004 da Alessandro Izzi


Medulla

Con Medúlla ci pare che Björk sia finalmente approdata alla definizione di una propria maturità stilistica e autoriale. Maturità che si esprime prevalentemente attraverso la logica della “sottrazione”, della riduzione della grammatica musicale ai suoi minimi termini, con un voto di castità musicale in cui viene bandito tutto ciò che è superfluo nel tentativo di ricondurre la musica ai suoi elementi costitutivi. Come volesse dipingere un affresco utilizzando solo colori primari, la straordinaria cantautrice islandese rinuncia quasi completamente agli arrangiamenti elettronici che l’avevano fin qui resa celebre e concentra tutta la propria attenzione sulla voce (non solo la sua, ma anche quella del coro che espressivamente la accompagna in molti brani) e sulla definizione di parche linee melodiche che vengono poi moltiplicate nel gioco prospettico di un contrappunto severo quanto mai ci era capitato di vedere in un contesto di musica pop. Ed è proprio in questa apparente contraddizione tra la relativa semplicità degli arrangiamenti e la voluta austerità del discorso contrappuntistico che riposa la cifra segreta di un’aspirazione sincera ad un discorso alle sue basi profondamente spirituale. Una vocazione ascetica, qualla di cui parliamo, che ci fa pensare, per la prima volta, a Björk come ad una prosecutrice coerente del discorso di una mistica medioevale come Hildegard von Bingen piuttosto che ad una cantante leggera di storie di amore incompreso. Basti vedere il superbo track 3 (Where is the line) per rendersi conto della profondità di un’operazione musicale innovativa che sembra aspirare alle vette espressive di certa musica sacra contemporanea (soprattutto di quel filone che tende al recupero della tradizione vocale tardo medioevale). Sulla base della contraddizione tra il quasi declamato della voce e i melismi del coro, l’autrice costruisce un brano dominato da un’atmosfera espressionistica che monta inesorabilmente verso un vero e proprio ingorgo sonoro reso ancor più sinistro dalle deformazioni elettroniche della voce solista. Solo il coro che, per tutta la traccia, resta ancorato alla sua purezza d’emissione riesce a suggerire costantemente all’ascoltatore la presenza di un altrove musicale apparentemente inattingibile. Oppure si guardi al mirabile track 4 (Vökuró) contraddistinto da una concentrazione espressiva impressionante che si chiude tutta nell’afflato assai intimista di un canto sospeso nel vuoto dove solo al coro a cappella è dato sostenere la bellissima melodia intonata da Björk. Una grammatica minimale, insomma, quella portata avanti dall’autrice, che sembra voler continuare quel discorso già iniziatosi con la colonna sonora di Dancer in the Dark sull’impossibilità di operare una netta distinzione tra musica e rumore. Per questo la scrittura vocale sembra partire della stessa negazione del canto e la linea melodica finisce per affollarsi di tutta una serie di elementi generalmente percepiti come inespressivi da un punto di vista strettamente musicale. Ecco allora che lo spazio sonoro si riempie di sospiri, di onomatopee (track 5: Öll Birtan che potrebbe portare la firma di Britten), di palpiti, piccoli schioppi di lingua che altro non sono che l’espressione di una musica prima della musica. Questa aspirazione al “mitos” del canto trova, nel corso del cd le applicazioni più disparate che vanno dal gusto un po’ manierato di Who is it (track 6) all’enfasi di Oceania (track 9) allo splendore incantato di Mouth’s Cradle (track 12) fino al conclusivo track 14 (Triumph of a Heart) che sembra proporsi come la deformazione poetica di una canzonetta volgare che tanto piace al pubblico contemporaneo.

Autore: Björk; Titolo: Medúlla; Etichetta: Elektra/Asylum

Tracklist:

1) Pleasure Is All Mine 2) Show Me Forgiveness 3) Where Is The Line 4) Vökuró 5) Öll Birtan 6) Who Is It 7) Submarine 8) Desired Constellation 9) Oceania 10) Sonnets / Unrealities XI 11) Ancestors 12) Mouth’s Cradle 13) Miðvikudags 14) Triumph Of A Heart

[settembre 2004]


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