X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Music and Mr Beckett

Pubblicato il 3 dicembre 2007 da Alessandro Izzi


Music and Mr Beckett

L’opera di Beckett ben difficilmente può essere accostata alla musica. Se nelle opere del drammaturgo, infatti, abbiamo una totale stasi narrativa, un circolo autoconclusivo di microeventi che non portano da nessuna parte, nella musica (in genere), abbiamo, invece, movimento, dinamismo, evoluzione nel tempo.
I personaggi di Beckett non conoscono altra evoluzione che non sia un lento marcire del corpo e dell’anima e non conoscono altro movimento che un disperato aggrapparsi alla vita. La loro stasi interiore li porta o a ricordare (con lunghi giri di parole) un passato mitico, o ad afferrarsi disperatamente al momento presente.
Tutto ciò è, in genere, l’esatto opposto della musica. Essa, come arte del tempo, che nel tempo e nello spazio dell’esecusione trova la sua ragione di vita, presenta sempre una qualche evoluzione, un qualche mutamento. E questo è tanto più evidente nella musica colta che da secoli bandisce ogni forma di ripetizione che non abbia un senso specifico. La stessa forma sonata che nella sua struttura tripartita ABA sembrerebbe proporre una sostanziale ripetizione di materiale tematico, in realtà contraddice l’idea stessa della ripetizione dal momento che i temi esposti nella prima parte cambiano radicalmente veste armonica nella terza.
Era proprio Beckett a non volere musica per le sue piece teatrali. E quella poca che lui diceva di amare, solo di poco si allontana dal suo mondo poetico.
Le sue predilezioni, anzi, ruotavano attorno ad un unico nome amato e citato nella sua opera: Schubert. Da un lied di Schubert trae nome uno dei suoi dramaticule più interessanti: Nacht und traume. Un altro lied di Schubert su testo di Heine: Der doppelganger era l’unico tipo di intervento musicale che l’autore avrebbe tollerato come colonna sonora al suo unico film: Film.
Il lied schubertiano come forma di perfetto incontro tra parole e musica potrebbe aver ispirato uno dei più affascinanti radiodrammi che l’autore abbia prodotto: Words and music, appunto. Primo e più raffinato pannello di un trittico composto anche da Radio I e Cascando, tutte opere che hanno visto la luce nel 1961.
Viene da chiedersi perché Schubert? Perché proprio un autore che, con la sua musica è stato forse il più perfetto esponente del romanticismo musicale, viene scelto dal più novecentesco dei drammaturghi a suggellare con le sue note un’opera che con il romanticismo sembra non avere proprio nulla a che fare?
In primo luogo, forse, per un’assonanza di spirito che, comunque, permane tra i due. Anche in Schubert, infatti, è presente, come condanna, un’idea della vita come "lenta morte" che è assolutamente beckettiana (il compositore, del resto, scrive i suoi più grandi capolavori consumato da una lenta agonia: silfilide). Anche in Schubert, poi, sussiste l’immagine di un passato vago e ideale: una sorta mitica età dell’oro ormai definitivamente perduta. E, per finire, anche Schubert vagheggia la Morte come un qualcosa in grado di mettere fine alle ansie e alle sofferenze della vita.
Ma soprattutto in Schubert c’è un elemento strutturale connesso al tempo di esposizione del materiale musicale che certo colpisce Beckett. La musica per Schubert, infatti, è essenzialmente un infinito divagare nel mondo dei suoni, un perdersi estatico (a volte terribile) nella contemplazione di se stessa. All’odiata/amata concisione beethoveniana (temi piccoli, chiaramente definiti sul piano tonale, sviluppi complessi, ma lineari) Schubert oppone una “divina lunghezza” (la definizione è di Schumann) che contradice l’essenza stessa del movimento musicale. Nelle opere di Schubert il tempo scorre, è vero, ma non in maniera lineare come nelle opere dei suoi contemporanei, ma in maniera capricciosa ed imprevedibile fino, a volte, a fermarsi del tutto. Basti pensare alla stasi sublime dell’apertura della Nona sinfonia dove per ben cinque minuti sembra non accadere niente in una musica che diventa pura suggestione (in realtà molto del materiale melodico viene presentato, ma senza che quasi nessuno se ne accorga). In un mondo così vasto come quello della musica schubertiana, quand’anche è presente, il movimento perde comunque di senso, non se cononoscono le motivazioni.
Ma la musica del compositore tedesco ha ancora un troppo forte anelito verso il trascendente, un troppo netto odore di preghiera per essere del tutto consona al mondo beckettiano.
In questo senso l’incontro con Morton Feldman (uno di quegli incontri ideali che non si è mai consumato per davvero) si è rivelato illuminante per più di un motivo.
E’ il 1987 (esattamente venti anni fa, quindi) quando Feldman prende tra le mani il testo beckettiano di Words and Music (primo e più perfetto pannello di un ideale trittico radiofonico del 1961 che comprende anche Radio I e Casacando) e decide di scrivere la parte mancante: quella musicale, appunto. Ricordiamo qui per inciso che la "storia" di Words and Music è essenzialmente riassumbile nel goffo tentativo di un classico padrone beckettiano (Croak) che tenta di convincere i propri servi (Parole e Musica, appunto) a scrivere un poema amoroso. Tentativi destinati fin da subito al fallimento dal momento che Parole compone una prosa il cui tema di fondo è l’accidia (altra ossessione beckettiana), mentre musica se ne va per i fatti suoi. L’amore resta dunque solo nei sospiri di Croak che lascia la scena sonora sospirando il nome della sua amata Lily. Come sempre in Beckett l’emozione è dilaniante soprattutto per la freddezza dello sguardo partecipe che la contempla.
Inizialmente Beckett, per la prima edizione radiofonica, aveva pensato di affidare la composizione della musica a suo cugino John. Già nel 1975, comunque, evidentemente non del tutto soddisfatto del lavoro affida la ricomposizione delle note che compongono la voce di Music al musicologo Humphrey Searle. Il grande drammaturgo iralndese, da sempre estremo perfezionista, non sembrava sentirsi molto a suo agio con l’idea di dover demandare il lavoro musicale a terzi anche in considerazione del fatto che le note musicali di Words and Music non sono assolutamente assimilabili a mere note di commento, ma costituiscono ipso facto la voce di un personaggio, le sue battute.
Non possiamo dire quanto Beckett fosse soddisfatto del lavoro del ’75. Forse il grande autore non aveva ancora messo quel punto fermo che chiude i lavori di composizione di un’opera. Non ci viene difficile immaginarlo come il protagonista della piece radiofonica, mentre cerca di accordare le sue parole con una musica che, riottosa, sembra sempre voler andare da un’altra parte. A posteriori ci pare di poter affermare che il tentativo di Feldman dell’87 è, quindi, forse il più vicino alle intenzioni dell’autore. O, forse, il più lontano. Ma andiamo con ordine.
Feldman, fondamentale compositore dell’avanguardia musicale americana, è probabilmente l’unico compositore a potersi avvicinare senza timore alle opere beckettiana in straordinaria aderenza poetica. E questo forse perché quella di Feldman non può, almeno a prima vista, consiederarsi musica.
Esponente, a mondo suo, del minimalismo americano, l’autore si ritaglia una posizione estremamente originale all’interno del fenomeno. La musica minimalista si basa fondamentalmente sulla ripetizione. Piccole cellule melodiche si ripetono secondo uno schema armonico semplice, anch’esso soggetto a ripetizione continua. Nella musica minimale nulla accade dal punto di vista musicale, a parte, - nei casi più interessanti (Steve Reich, Adams, per certi aspetti Philip Glass che resta però un minimalista alquanto sui generis) - una complessa stratificazione contrappuntistica che porta le cellule melodiche su più piani sonori, le fa interagire tra loro, ma non le risolve dal punto di vista armonico.
La musica minimale, allora, ci presenta un movimento incessante di pochissimi elementi che si combinano tra loro senza pervinire ad alcunchè di definito. Movimento senza senso, insomma.
Il problema risiede, semmai, nel fatto che questa musica evanescente e vuota (non a caso i critici parlano con metafora poetica di musica delle nuvole) non riconduce, come verrebbe da pensare, al vuoto annichilente di Beckett, quanto piuttosto al vuoto denso di significati del Nirvana Buddhista. Un vuoto non vuoto, insomma, in cui il movimento incessante della musica (laddove il troppo movimento equivale di fatto alla stasi) mima l’aura illusoria della realtà circostante soggetta al continuo mutamento.
Su queste basi si muove l’eperienza di Feldman nella negazione, tutta beckettiana, di ogni forma di trascendenza. Il movimento vorticoso degli altri minimali si trasforma, nel compositore americano, in una composta successione di suoni, disposti secondo un modello che si ripete all’infinito (o virtualemente potrebbe) senza che apparentemente nulla cambi.
In una delle sue ultime opere: For Samuel Beckett, appunto, i tredici strumenti sembrano non far altro che ripetere una piccola serie di odiose dissonanze per ben cinquantaquattro minuti. Lo stesso ascoltatore sembra essere letteralmente violentato da una musica il cui colore timbricamente scuro pare non volere concedere spazio ad alcuna forma di vitalità e il cui ritmo, autoconcluso e ripetitivo all’ossessione non da spazio a nulla.
In Words and music, nelle intenzioni del compositore, l’orchestra, divenuta protagonista del dramma, si esprime per brevi lacerti di suono. In un mondo in cui anche la parola ha, però, perso ogni senso ed è divenuta mera emissione di suoni che hanno il solo scopo di far sentire ancora vivo chi li produce (si pensi alla logorrea inconcludente di Lucki in Waiting for Godot). Su queste parole senza senso, una pura e semplice pioggia di consonanti su un terreno eternamente arido di sentimenti, si innescano i brutali patterns della musica di Feldman creando una perfetta simbiosi tra parole e musica che non ritrovavamo dai tempi del lied romantico o del madrigale rinascimentale.
Parole e musica non possono fare a meno, anche qui, di stare insieme anche se, come tutti i personaggi di Beckett, anche questa è una coppia speculare di individui legati come Vladimiro ed Estragone, dal doppio nodo della reciproca dipendenza.
“Questo tempo ancora a muffire con te nel buio” dice Parole rivolgendosi a Musica all’inizio del dramma radiofinico per poi supplicare (un’ora dopo a chiusura d’atto): “Musica….Musica…. Ancora…. Ancora….” Prima che un profondo sospiro giunga a coprire tutto.

Articoli correlati: Fragments - Rough for Theatre I; Rockaby; Act without Words II; Neither; Come and go


Enregistrer au format PDF