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Venezia 77 - Padrenostro

Pubblicato il 5 settembre 2020 da Francesca Pistocchi

VOTO:

Venezia 77 - Padrenostro

Roma, 1976. Valerio (Mattia Garaci) è un ragazzino come tanti: vive in una bella casa, frequenta una scuola privata, gioca a calcio e passa le sue giornate in una piccola stanza segreta tappezzata di fotografie e illustrazioni dai toni visionari. Valerio è un ragazzino come tanti e insieme non lo è affatto, ma questo lui non lo sa – e se lo sapesse, di certo non gli importerebbe: suo padre Alfonso (Pierfrancesco Favino) è un funzionario dell’Ispettorato antiterroristico, eppure ciò non viene mai apertamente esplicitato. Valerio fa parte di una generazione orfana, una generazione che in generale non ha accesso alla vita. Almeno fino a quando egli non si ritrova testimone di un attentato ai danni del genitore: attentato in cui a morire sotto gli occhi del ragazzino non è Alfonso, bensì uno dei terroristi. Da quel momento in avanti, l’universo già di per sé surreale in cui il bambino si ritrovava rinchiuso si fa sempre più claustrofobico, mentre la quotidianità viene continuamente interrotta da qualcosa di minaccioso che a volte è difficile percepire e comprendere a pieno.

Questa eterna parzialità – di informazioni, di affetti, di rapporti interpersonali – schiaccia i protagonisti in una morsa fino a quando perfino in sala l’aria pare farsi più rarefatta e quasi irrespirabile. Leitmotiv della pellicola è l’infantile e probabilmente inutile raccomandazione paterna “respira con la pancia”, quasi si trattasse di una formula magica in grado di rischiarare il tunnel d’inquietudine da cui tutto è avvolto.
Spesso non c’è nessuna spiegazione logica che accompagni tale vuoto, nessun assioma, nessuno squallido gioco mediatico fra guardie e ladri.
L’intera impalcatura innalzata dal regista si regge su spazi e tempi impossibili da riempire – istanti in cui le verità non vengono mai davvero disinnescate, ma solo intuite ad un livello troppo superficiale per poter essere afferrate. Al di là degli slow motion vagamente ridondanti e superflui di cui il film fa uso smodato, il terrore viene represso nelle fantasie allucinate di Valerio, nei fantasmi di cui si popola la sua malinconica routine. Quando il protagonista incontra Christian (Francesco Gheghi), un quattordicenne allampanato e inselvatichito uscito da un luogo a cui gli altri personaggi non sembrano avere accesso, i già instabili equilibri familiari iniziano a vacillare in maniera preoccupante. Anche Christian è un giovane orfano, uno spettro la cui presenza diventa sempre più ingombrante a mano a mano che l’atmosfera del racconto si rapprende nella paura e in un vago desiderio di fuga. Con il suo aspetto trasandato, il forte accento romano e la dolorosa allegria tipica di chi intende celarsi, il ragazzo trascina con sé una serie di interrogativi che andranno poi a trainare l’intero arco narrativo: chi è? Da dove viene? Per quale motivo, quasi non avesse un’esistenza propria, segue Valerio? Si tratta di un individuo in carne ed ossa o di uno spettro posto a sostituzione del padre assente? Certo, l’epilogo finale soddisferà a pieno la curiosità dello spettatore medio, ma si tratta di un inganno: non c’è modo di evadere dal mutismo in cui i giorni sprofondano, non ci sono rivelazioni né colpi di scena, da quest’aura dilatata non c’è via d’uscita. Nel rabbioso e amorevole commiato che Claudio Noce rivolge alla propria famiglia, il mondo esterno non si lascia mai afferrare del tutto: “Subito dopo Dio viene Papà” dichiara il regista citando Mozart. Non a caso sarà proprio il titolo del film, tanto simile ad una preghiera quanto ad una minaccia, a ricucire le fila delle relazioni che intercorrono fra genitori e figli.

Sulla carta, il film viene presentato come una sorta di compendio sugli anni di piombo in Italia – un paragone alquanto scomodo. Ma se per piombo intendiamo qualcosa di diverso dai proiettili di cui si riempiono le strade, allora possiamo forse riconoscere in Padrenostro un inconsapevole omaggio a quella "bleierne Zeit" vissuta perennemente in terza persona, all’interno di una zona d’ombra inaccessibile. Quando si parla del periodo BR, la tendenza comune è quella di gettarsi necessariamente nell’ideologia: eppure, nella dimensione parallela creata da Valerio-Claudio non esistono fatti di cronaca, non può esserci una comprensione totale della vicenda storica e umana attraversata dal padre. Ciò che infatti permea il grande schermo è un senso d’implacabile pesantezza, una sorta di coltre nella quale la realtà si ritira – la stessa coltre in cui Marianne e Juliane, decenni prima e quasi contemporaneamente, si ritrovano avvinte.


CAST & CREDITS

(Padrenostro); Regia: Claudio Noce; sceneggiatura: Enrico Audenino, Claudio Noce; fotografia: Michele D’Attanasio; montaggio: Giogiò Franchini; interpreti: Pierfrancesco Favino (Alfonso), Barbara Ronchi (Gina), Mattia Garaci (Valerio), Francesco Gheghi (Christian); produzione: Lungta Film (Andrea Calbucci, Maurizio Piazza), PKO Cinema & Co. (Pierfrancesco Favino), Tendercapital Productions, Vision Distribution; origine: Italia 2019; durata: 122’


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