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O Fatalista

Pubblicato il 16 settembre 2005 da Salvatore Salviano Miceli


O Fatalista

“Tutto il bene o il male che accade quaggiù, è scritto lassù”. Questa frase, tratta da “Jacques, il fatalista” di Denis Diderot, racchiude la filosofia del film di Joao Botelho. Il regista portoghese, lavorando sul testo di Diderot, lo scandaglia ed analizza per trafugare tutto ciò che è possibile rendere attuale. Così, durante un viaggio in macchina, Tiago racconta al suo padrone la storia alquanto bizzarra e surreale dei suoi amori. Dietro le parole del servitore si cela il senso del film. Chi è “Il Fatalista” ?. È chi vive quasi nascosto dalle proprie responsabilità, colui che resta ciecamente attaccato al bisogno/desiderio che ci sia qualcuno/qualcosa “lassù” che abbia già pensato a tutto, che abbia scritto al posto suo le pagine della sua vita. Botelho infonde nei dialoghi tra i due personaggi principali la volontà di esplorare, fino alla base, i rigidi conflitti di classe che, seppur volutamente messi da parte, continuano a strutturare la società odierna. Autista e padrone lottano tra loro in nome di una appartenenza a classi sociali diverse. Il regista è abile nel mettere in mostra i contrasti, le differenze ma anche le somiglianze di questi due mondi. Ed allora la prorompenza di Tiago diventa una forma di ribellione contro il proprio padrone che, a sua volta, pur apprezzando le storie del suo autista, negli attimi in cui gli torna in mente la sua presunta superiorità, tenta goffamente di ristabilire distanze divenute ormai fittizie. È un film la cui trama si esplica ora attraverso una sceneggiatura piuttosto rigida ma ricca di sfumature, ora attraverso un silenzio che sembra voler indirizzare l’attenzione verso tutto ciò che è di contorno. Passano, quindi, sullo schermo immagini che portano sino a noi gli odori di un Portogallo contraddittorio, insieme ad un malessere vago ma percepibile. È un film, questo, che ricerca la sua compiutezza nell’attesa, nelle lunghe e frequenti sospensioni narrative. Raffinato nella regia, Botelho cuce una tela di aspirazioni illuse e poi tradite. Realizza un atipico road-movie, il cui senso non è rintracciabile nella strada percorsa, ma nelle soste effettuate. È come se ci invitasse a fermarci a pensare, a riflettere, per renderci conto della feroce ironia sottesa nel testo francese e nel suo lungometraggio. È inquietante la convinzione di un destino già tracciato e, anche se spesso è comodo pensarlo, viene spontaneo chiedersi a cosa serva essere in questo mondo se ogni nostra azione o ogni nostro pensiero arriva a noi come fossimo tanti ventriloqui di un burattinaio sconosciuto. “O Fatalista” è un’opera complessa, così come del resto gli altri film di Botelho, apparentemente priva di una linearità e di un ritmo sufficientemente sostenuto; ma è proprio il regista che rallenta volutamente il suo racconto per offrirci una visione più nitida e meno confusionaria dei pensieri e ricordi che corrono sullo schermo. È un film che utilizza il destino per parlare del nostro tempo e dei conflitti che lo animano.

Cast & Credits

Regia: Joao Botelho; Sceneggiatura: Joao Botelho tratto dal romanzo “Jacques, il fatalista” di Denis Diderot; Direttore della Fotografia: Edmundo Diaz; Suono: Miguel Martins; Scenografie: Catarina Amaro; Montaggio: Renata Sancho; Costumi: Isabel Branco; Interpreti: Rogério Samora, André Gomes, Rita Blanco, Susana Borges, Patricia Guèrreiro; Produttore: Paulo Branco; Produzione: Madragoa Films; Coproduzione: Gemini Films, Mandragoa Films; Distribuzione Internazionale: Gemini Films; Portogallo, Francia 2005.


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