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OI HERO

Pubblicato il 17 aprile 2005 da Edoardo Zaccagnini


OI HERO

Le afriche di Panafricana spingono in tante direzioni. Alcune mirano all’Europa ed altre a se stesse: il Nord di Le Prince si specchia sull’Occidente e l’estenuante e fortissimo La Port du Soleil amplifica l’urlo del popolo palestinese. Poi ci sono le Afriche Afriche, lontanissime e sconosciute, con un filo di voce, insanguinate e affamate dalla guerra, piagate dalla povertà e dall’Aids. Questo film racconta dell’Angola ed è questa, soprattutto, la sua forza. Dove sta l’Angola? In fondo all’Africa, tra polvere, prostituzione e mine. Tra bambini orfani ed eroi ubriachi che vivono in un incubo e che tentano di tornare a casa con una gamba in meno. In Angola c’è anche il mare, il film lo mostra, ma sulla spiaggia non c’è nessuno a fare il bagno. I ragazzini del film sono in giro a rubare per mangiare, privati da sempre dei loro giochi, aggrappati al sogno di ritrovare un padre. Raccontare la fenomenologia del film significa raccontare storie di sofferenza, e farlo illuminandone la forza comunicativa, può comportare, se non si è bravi, un certo patetismo. Di fatto basta quanto detto, e il suono stesso, Angola, per capire che il film è triste nonostante si conceda un finale assolato e per certi versi rilassante. La sua struttura è lineare e il suo flusso ordinato e anonimo, ma testimone di una situazione che tutto il mondo definisce allarmante ma che poi continua ad ignorare. Vale la pena descrivere alcuni aspetti della pellicola, ormai coscienti della situazione in cui affonda le radici. Il problema su cui il regista si sofferma principalmente è quello della guerra: la città, sfondo originale ed immacolato del film, è tutta una rovina. Vagoni bruciati, macerie di case e carcasse, oltre a ricordare certi film italiani, sembrano dire che è stata la guerra a ridurre il popolo in quel modo. C’è anche un discorso parallelo sulla differenza di classe ma è un po’ ingenuo e “televisivo”, a ribadire che il film è soprattutto documento indiretto. La pellicola si conclude felicemente con una panoramica aerea sulle baracche impolverate di Luanda, la città del film, che rafforza il valore delle storie fino ad allora raccontate. Il capitolo sull’Angola si apre come una ferita complicata che per l’orrore e la puzza, non è difficile richiudere. Il cinema non ha il dovere di sentirsi in colpa, perché il suo compito, del resto, è stato svolto.

[aprile 2005]

Regia: Zézé Gamboa, Sceneggiatura: Carla Batista e Pierre-Marie Goulet, Fotografia: Mario Masini, Montaggio: Anna Ruiz, Musica: David Linx e Didiet Winnels, Scenografia: Ana Luxa D’Oney, Interpreti: Oumar Makéna Diop, Milton Coelho, Patrícia Bull, Neusa Borges, Maria Ceiça, Raúl Rosário, Catarina Matos, Próspero João, Nelo Herder, Durata: 97’, Produzione: Fernardo Vendrell per David et Golias


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