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Ombre di luce

Pubblicato il 10 agosto 2011 da Edoardo Zaccagnini


Ombre di luce

Una telecamera entra dentro l’università di Roma "La Sapienza". Per 70 minuti osserva silenziosamente i suoi spazi e le creature umane che dentro questi spazi si muovono.

L’occhio elettronico che registra si aggira invisibile per le stanze della facoltà di Scienze umanistiche, incrociando i visi di una generazione che attraversa portoni a vetro, viali, corridoi lucidati e scale di ferro esterne agli edifici, dai colori spenti e raffreddati.

Nulla di sociologico, nessuna inchiesta sulle cancrene dell’istruzione pubblica, anzi, quasi ricerca di minuta poesia, e denuncia, semmai, di come esistano ancora spazi capaci di infondere fiducia ai giovani, malgrado i tagli, malgrado le etichette negative appoggiate per comodità su questa nuova generazione di ragazzi.

E’ un documentario, di osservazione, che racconta di un momento storico, ma anche di tutto quello che bolle negli esseri umani di ogni tempo: la voglia, necessità di ascoltare se stessi, le proprie pulsioni, di rispondere alle domande che le proprie profondità producono. La creatività, la fantasia, la comunicazione della propria vita, attraverso la parola, l’arte, ancòra àncore di salvezza, piccole grandi strade verso la felicità. Lunghissime, forse infinite, ma piene di belle sorprese, di incontri e di paesaggi che, più forti di ogni altra invenzione o diavoleria dei giorni nostri, fanno sentire meglio le persone. Perchè allontanano il dolore e scacciano la paura. Perchè danno entusiasmo, aprono scenari meravigliosi. Perchè spiegano che della diversità non bisogna aver timore, che sulla propria unicità si può fare affidamento. Che l’autoconoscenza è preziosa e va vissuta con serenità. Che se non la felicità, almeno la libertà è fatta di tutte queste cose.

Chi ha acceso e muove la telecamera è Massimo D’Orzi, anche regista teatrale. Tra le sue esperienze leggiamo quella del 2001 presso la scuola "Fare cinema" di Marco Bellocchio.

Ha girato cortometraggi, La mano rossa e La rosa più bella del nostro giardino, ma anche un film intervista allo stesso Bellocchio, dal titolo L’immagine della ribellione. Il suo primo documentario, del 2004, si intitolava Adisa o la storia dei mille anni, ed era ambientato fra le comunità zingare della Bosnia Erzegovina. Di un paio d’anni fa, invece, il suo esordio nel lungo di finzione: Sàmara, la storia di un saltimbanco che attraversa un bosco alla ricerca della città dei suoi sogni in cui realizzarsi come artista e come uomo. Sulla strada farà incontri che cambieranno la prospettiva del suo viaggio.

Ombre di luce, il film di cui stiamo parlando, è del 2010, e segue l’esperienza di un laboratorio di scrittura, fatto da due insegnanti con un gruppo di studenti. Fuori, non in antitesi, piuttosto a complemento di quanto seguiamo, cresce il movimento dell’onda, che accompagna le atmosfere distensive e rasserenanti del laboratorio. Dentro, i ragazzi, presi per mano da due insengnanti appassionati e sottopagati, raccontano le proprie riflessioni e capiscono meglio come affrontare una contemporaneità complessa e pericolosa.

D’Orzi fa scorrere la macchina con eleganza e pudore. S’avvicina ai volti e ai pensieri dei suoi testimoni quasi senza farsi scoprire. Lascia spazi da riempire allo spettatore, crea suggestioni, raccoglie senza tesi il presente, o frammenti di questo. Arriveranno altri a raccogliere altro materiale, a giudicarlo con più decisione.

Ombre di luce uscirà il 28 marzo al Cinema Aquila di Roma.


Regia: Massimo D’Orzi; Soggetto e sceneggiatura: Annio Gioacchino Stasio; Montaggio: Paola Traverso; Produzione: Il gigante, in collaborazione con la facoltà di sciene umanistiche e il centro Digilab dell’Università di Roma La sapienza.


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