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Orgoglio

Pubblicato il 29 marzo 2004 da Alessandro Izzi


Orgoglio

Nato sotto l’egida produttiva di una rinata Titanus, Orgoglio si presenta come una costola tardiva di quella produzione cinematografica che fece la gloria, non sono ancora molti anni, di Goffredo Lombardo. In particolare l’idea di base che ha guidato gli autori nel mettere in cantiere questa vasta fatica televisiva sembrerebbe essere stata quella di recuperare il modello di un kolossal storico fortemente debitore, nei suoi principi generali, della lezione viscontiana.
Sono molti, infatti, gli elementi che richiamano immediatamente alla nostra mente le pellicole del grande regista milanese: la forte attenzione per le scenografie, una ricerca molto puntuale di dettagli realistici con cui circostanziare l’intera vicenda, un discorso di fondo che vorrebbe nel perfetto intrecciarsi di storia privata (restituita attraverso la logica affabulatoria del melodramma) e Storia collettiva (qui nel periodo dell’invasione della Libia da parte delle truppe italiane e fasciste) i motivi della propria poesia e il senso del proprio discorso.
Non ci vuole molto, però, a rendersi conto che della lezione viscontiana gli autori di questo prodotto recuperano soltanto gli aspetti più esteriori in una logica che vede nella preponderanza maestosa degli aspetti scenografici l’unica ragion d’essere del tutto. In questo modo la melodrammatica storia di un amore fatale tra una donna di nobili origini ed un umile contadino sembra essere più imparentata alla vasta tradizione del romanzo d’appendice che non alla nobile costruzione del romanzo ottocentesco da cui invece attingeva a piene mani Visconti. In questo modo le vicende narrate finiscono presto per assumere il peso dello stereotipo e la vivida restituzione di ambienti e costumi finisce, a fronte di una povera impaginazione narrativa che ne frustra il valore, per assumere il sapore della cartapesta e della leziosità scenografica fine a se stessa.
Di Visconti, quindi, c’è molto più L’innocente che non Il Gattopardo o (andando ancor più su) Senso allo stesso modo con cui, a livello di sceneggiatura, si respira molto più D’Annunzio di quanto si possa respirare Thomas Mann. In questo modo ogni dissidio drammaturgico sembra destinato a sciogliersi nella bella forma e i personaggi messi in campo finiscono per perdere il loro possibile valore esemplare per ridursi al rango di veri e propri bozzetti. La contrapposizione melodrammatica tra “buoni” (la protagonista, i contadini) e “cattivi” rappresentati da una classe nobiliare pertinacemente legata alle proprie abitudini anche laddove non può fare a meno di vedere completamente esaurita la propria funzione storica (una problematica questa, a ben vedere, profondamente viscontiana) finisce per assumere i tratti manichei di una tradizione da operetta incapace di restituire sullo schermo la complessità della dinamiche storiche che pure vorrebbe descrivere.
In questo modo l’Hermann di Franco Castellani (che fa rivivere nella propria interpretazione le vibrazioni di una televisione che fu: semplice, piana e abbondantemente didascalica) non assume mai quelle dimensioni tragiche e mefistofeliche cui il personaggio avrebbe potuto aspirare e si contrappone in maniera troppo artefatta alla sospirosa eroina di Elena Sofia Ricci.
Il buco nero viene, comunque, sfiorato soprattutto in quei momenti in cui il racconto maggiormente vorrebbe sporcarsi le mani con gli orrori della storia: la disfatta delle truppe italiane nella campagna africana. Qui non possiamo non rimpiangere la mano di Visconti che sarebbe stata capace (come in Senso) di condensare, in poche efficaci inquadrature, tutto il senso di disfatta di un’intera nazione e di un’intera epoca. Nella debole fiction propinataci da Rai 1, invece, non vediamo altro che una misera Barbara D’Urso (reduce dai fasti de Il grande fratello) muoversi spaesata tra finti scenari di guerra (che della Guerra vera non conservano neanche l’ombra) pronunciando battute che neanche un bambino avrebbe, nel suo ingenuo candore, potuto proferire.

(Orgoglio); Regia: Giorgio SerafiniVittorio Di Sisti; sceneggiatura: Gianfranco Clerici, Daniele Stroppa; fotografia: Adolfo Troiani (I unità), Maurizio Dell’Orco (II unità); montaggio: Cosimo Andronico, Alfredo Muschietti; musica: Stefano Mainetti; interpreti: Elena Sofia Ricci, Daniele Pecci, Paolo Ferrari, Cristiana Capotondi, Barbara D’Urso; produzione: Guido Lombardo per Titanus

messa in onda: da domenica 29 febbraio, domenica e lunedì; rete televisiva: RAI 1; orario: 21:00

[marzo 2004]


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