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OST - BJORK - DRAWING RESTRAINT 9

Pubblicato il 12 gennaio 2006 da Matteo Botrugno


OST - BJORK - DRAWING RESTRAINT 9

E’ uscito un nuovo album di Bjork. Solo che nessuno sembra essersene accorto. Si tratta della colonna sonora di Drawing Restraint 9, di Matthew Barney, marito della cantante islandese, presentato a Venezia ’62. Il film probabilmente non uscirà in Italia, ma è ancora viva la speranza di vedere sugli scaffali dei negozi di dischi questa straordinaria soundtrack. Già in Dancer in the dark Bjork era sia interprete che compositrice della colonna sonora, ma in questo caso viene abbandonata l’orecchiabilità delle ‘canzoni di Selma’, poiché l’approccio compositivo di Drawing Restraint 9 sembra essere orientato verso le ultime produzioni della poliedrica cantante. Se nell’opera di Lars Von Trier venivano studiate le potenzialità del campionamento di macchine industriali o dello sferragliare del treno sulle rotaie, che svolgevano la funzione di loop elettronici, l’orecchiabilità di alcuni brani, ora con una struttura coerente alle songs dell’album Homogenic, ora ripescaggi dal background artistico della compositrice (con particolare riferimento al suo primo album solista, il jazzistico Glin-glò e a It’s Oh so quiet, presente nell’album Post), hanno caratterizzato la OST di Dancer in the Dark come un album ‘bjorkiano’ a tutti gli effetti.
Nella colonna sonora di Drawing restraint 9 invece, non solo ravvisiamo la non centralità dell’artista islandese in fase di composizione ed arrangiamento, ma anche il forte desiderio di spaziare tra generi musicali di diversa estrazione temporale e culturale, tentando allo stesso tempo di rimanere coerente alla ricerca musicale di Vespertine e Medulla, e facendo tesoro dei suoi celebri unplugged ante litteram. Un flusso musical-rumoristico continuo quindi, in cui per una volta non si avverte l’invisibile (ma spesso più che mai presente) pressione dei discografici, e che diventa la ‘voce’ di un film in cui la parola viene sostituita dalla musica e le immagini rafforzate da audaci sperimentazioni sonore.
Il fatto che questo lavoro sia scevro da compromessi commerciali e aperto ad ogni tipo di influenza e sperimentazione, è subito dimostrato da Gratitude, pezzo che apre l’album. L’ispirazione all’album Vespertine è più che evidente, anche se Bjork preferisce lasciare che il brano prenda forma, tramite l’improvvisazione, con l’arpa di Zeena Parkins (celebre per il suo personalissimo stile e per un minuzioso lavoro sul suono tramite arpe elettriche ed arpe preparate), e la voce di Will Oldham, che canta, in linea con l’atonalità delle parti vocali del già citato penultimo album dell’artista islandese, un testo tratto da una lettera indirizzata al generale MacArthur da parte di un cittadino giapponese, riconoscente per la sospensione della moratoria alla caccia alle balene. Il brano quindi scorre lento, evocativo; il coro ‘stonato’ di voce bianche nel finale, ne intensifica la dolce disarmonia. Le balene nel film divengono metafora dell’uomo, animale imprigionato da se stesso, che vorrebbe distruggere la sua gabbia di tessuti e liquidi organici per poter nuotare libero in acqua, come un cetaceo appunto. La colonna sonora, dunque, diventa coerente sia per quanto riguarda il modo con cui accompagna le immagini, sia per la totale libertà compositiva e strutturale.
Il secondo pezzo, Pearl, è formalmente più vicino ai brani di Medulla: la voce viene sfruttata in tutte le sue potenzialità, ribaltando completamente i codici della tecnica del canto tradizionale. Non c’è una melodia che sovrasta la ritmica del brano: entrambi gli elementi sono intrecciati indissolubilmente fra loro, come il respiro affannoso delle donne nel film, che tornano a galla dopo essere state a lungo in apnea a caccia di perle. Il brano però non è da considerarsi un semplice outtake di Medulla, perché le voci sono accompagnate dalle dissonanze dello sho (strumento a fiato di tradizione nipponica, ad ancia, formato da una serie di canne di bambù, con cui è possibile produrre note singole o accordi e con un suono simile a quello dell’armonica a bocca) suonato da Mayumi Miyata, scelta questa che testimonia il tentativo di fusione dell’opera bjorkiana, in questo caso tramite la sperimentazione vocale legata al suono di strumenti tradizionali orientali. Ambergis March, il pezzo successivo, evidenzia la coerenza nel far coesistere diverse tendenze musicali nello stesso brano, data la presenza di un classico tempo di marcia che funge però da sezione ritmica che accompagna ardite melodie armonizzate di campanellini e clavicembalo. Bath, invece, è il primo brano dell’album effettivamente cantato da Bjork: la sua voce sussurrante sembra rispondere ai cromatismi di un pianoforte i cui tasti sono appena sfiorati; pur mantenendo un incedere suadente, la canzone raggiunge il suo climax nel finale, quando diverse melodie miste a sospiri creano un reticolo di note che generano un unico, dissonante tappeto sonoro.
Si passa ad un altro strumentale con Hunter Vessel, brano in cui la sezione degli ottoni calca ossessivamente i battere, in alternanza con dei rallentati in cui gli stessi fiati formano un magma sonoro fortemente debitore delle tendenze della dodecafonia post schoenberghiana. Il brano più occidentale dell’album (per via dell’influenza musicale europea e dell’utilizzo sistematico di ottoni, tipico delle soundtracks statunitensi) precede un breve pezzo eseguito esclusivamente con lo sho, Shimenawa, che ridireziona Drawing restraint 9 verso le armonie tradizionali giapponesi, per poi ritornare con un reprise del pezzo precedente, Vessel Shimenawa. Il trittico manifesta la scelta stilistica di Bjork e dei musicisti che hanno collaborato con lei (tra cui spiccano i nomi di Akira Rabelais e Valgeir Sigurosson) di ideare una colonna sonora che percorra a trecentosessanta gradi universi sonori lontani tra loro, riuscendo a mettere sullo stesso piano tradizione e innovazione.
Storm è sicuramente uno degli episodi più riusciti dell’album, nonché brano che sembra rispettare la forma-canzone nel senso bjorkiano del termine. Impressionante e straordinario è il modo in cui viene rappresentata la furia della tempesta: un arpeggio di tastiere in sottofondo accompagna gli acuti della cantante, spesso alterati con alcune distorsioni e montati in modo tale da simulare vento, pioggia e l’infrangersi delle onde del mare sulla baleniera. Oltre ad un uso alternativo della voce (che ricorda molto la canzone Pluto dell’album Homogenic), ravvisiamo in questa traccia una certa intelligenza nell’uso dei synth e delle potenzialità del missaggio in digitale come parte integrante della creazione musicale, tanto far tornare alla mente alcune composizioni di musica concreta.
E’ abbastanza frequente ritrovare tra un brano e l’altro di una colonna sonora battute o interi dialoghi del film da cui è tratta, ma anche in questo caso Drawing restraint 9 dimostra di essere un’opera assolutamente anomala con la decima traccia, Holographic entrypoint: quasi dieci minuti di un testo scritto da Barney fatto tradurre in giapponese, recitato secondo le regole del tradizionale teatro Noh. Questa traccia rappresenta l’unico scivolone dell’album, perché se nel film ci era sembrato che questo fosse funzionale ad integrare le immagini che scorrevano sullo schermo, non significa che su disco l’inserimento di un recitato così lungo assolva a qualche funzione in particolare se non a quella di irritarci e di farci pensare che si tratti di un modo per riempire dieci minuti di buco. A parte questa nota stonata, gli ultimi due brani, Cetacea e Antartic return, sono la summa di tutto il lavoro: il primo, che ricorda le atmosfere di Vespertine, è ancora legato alla metafora della trasformazione in balene; il secondo riguarda il ritorno da parte degli animali, ormai liberi, verso lidi sperduti, irraggiungibili, accompagnati ancora una volta, in lontananza, dal suono dello sho. Opera in cui diversi musicisti e arrangiatori mettono del proprio per cercare di azzerare le differenze e i pregiudizi culturali tra musiche differenti, o effettivamente questa OST può essere considerato un nuovo album di Bjork? Entrambe le affermazioni hanno il loro fondamento. Ma crediamo che la caratteristica più importante di Drawing restraint 9 sia quella di andare oltre il limitativo concetto romantico di melodia e di centralità della musica occidentale, grazie alla sua capacità di saperci catapultare in spazi in bilico tra passato e presente, tra sperimentazioni moderne e rispetto per le tradizioni musicali di paesi non occidentali. E questo, per una colonna sonora, è davvero un risultato incredibile.

[Gennaio 2006]

Autori: Bjork, Akira Rabelais, Valgeir Sigurosson; titolo: Drawing restraint 9.

Tracklist:

1) Gratitude; 2) Pearl; 3) Ambergris March; 4) Bath; 5) Hunter Vessel; 6) Shimenawa; 7) Vessel Shimenawa; 8) Storm; 9)Holographic Entrypoint; 10) Cetacea; 11) Antarctic Return.


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