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Ost - El Alamein

Pubblicato il 20 dicembre 2002 da Alessandro Izzi


Ost - El Alamein

In ricordo di Pietro Simeone, ragazzo di El Alamein

Per il suo ultimo film che narra uno degli episodi più infelici della nostra storia recente (la tragedia di El Alamein, appunto), Enzo Monteleone si affida ancora una volta alle musiche ad un passo dallo sperimentalismo di Pivio e Aldo De Scalzi. Ed è da dire che sono proprio i brani musicali composti da questi due autori ad indirizzare emotivamente lo spettatore verso quello che dovrebbe essere il senso ultimo di tutta l’operazione: raccontare una terribile tragedia collettiva attraverso i tanti piccoli sguardi di quelle persone che ne furono testimoni. I compositori si affidano, per questo, al suono compatto di una vasta orchestra dominata dagli archi (cui si aggiungono, di tanto in tanto alcuni strumenti etnici africani) che viene piegata, però, ad una dimensione quasi cameristica. Il CD si apre con un brano brevissimo (neanche tre minuti) che, caratterizzato com’è da una grande volontà evocativa e da un’intenzione prevalentemente atmosferica, dichiara, fin dall’inizio, la cifra stilistica di tutto il lavoro compiuto dai due autori. Vi viene presentato un tema dal gusto squisitamente neoromantico che andrà, poi, a costituire la base, per il successivo Corale dei caduti che resta sicuramente uno dei momenti più intensi di tutto lo score. In questo senso il suo incedere solenne, sottolineato da dolenti accordi strappati degli archi gravi, si configura da subito come base ideale per la commossa perorazione del coro. La vocazione neoromantica, rivisitata però attraverso la lezione di un autore come Gorecki, trova ulteriore conferma, non solo nel track 14 che cita letteralmente la melodia centrale e l’orchestrazione del primo movimento della Sinfonia numero tre, ma anche, ad esempio, nel mesto svolgersi della track 4 (Lettera ai genitori) che ripropone le atmosfere delle opere del compositore polacco senza arrivare, però, agli esiti estremi (soprattutto nel campo della dilatazione del tempo di percezione della musica stessa) dei suoi capolavori. In questo senso i vari brani, che restano legati ad una dimensione per lo più aforistica, non riescono a raggiungere la carica impressionante delle amplissime arcate melodiche goreckiane. Mentre il compositore polacco, infatti, giunge, attraverso la ripetizione ossessiva di ritmi immutabili e mediante l’allargamento alle estreme conseguenze della durata musicale dei singoli accordi (celebre, in questo senso la cadenza finale della Sinfonia numero due che si prolunga per oltre tre minuti), ad una totale sospensione della stessa nozione di Tempo (l’ascoltatore vi viene rapito in una sorta di visione estetica dell’immensità del creato), i due autori dello score riescono appena, con le loro soluzioni compositive, a suggerire le immense vastità del deserto sahariano e il dolore e il senso di sconfitta che permea le fila dell’esercito italiano. Un altro procedimento tipicamente goreckiano, spesso impiegato nelle musiche per il film, è quello della strutturazione architettonica dei brani secondo una classica figura ad arco. Tale arcata si svolge tanto al livello delle pure e semplici dinamiche (dal pianissimo iniziale al forte-fortissimo centrale fino a ridiscendere nuovamente nel pianissimo) quanto nell’ingresso e nell’uscita delle varie voci che costruiscono la tessitura polifonica del tutto (dal silenzio fino a quel pieno d’orchestra che torna misticamente nel silenzio). Questo procedimento, impiegato da Gorecki tanto nei Tre pezzi in vecchio stile quanto nell’immenso (oltre trenta minuti) movimento d’apertura della già citata Sinfonia numero 3 trova nel track 7 (La linea del fuoco) una delle sue applicazioni più convincenti. Ma la vocazione sperimentale risulta presto contraddetta da un certo gusto melodico che, specie in certi brani (track 8: Dopo la battaglia, quasi un adagio da serenata per archi), diventa preponderante. Altrove sono alcune soluzioni infelici a sospingere i brani nelle tristi derive dell’ovvio, come nel caso del track 10 (Il mare di mezzo) che si apre con un inciso assolutamente goreckiano che viene presto soffocato da un ultra romantico tremolo degli archi che conduce il tutto verso lidi simil morriconiani. Figure sperimentali, da musica concreta, aprono l’inquietante track 3 (Caccia al cecchino): un brano misterioso, ma, in fondo, abbastanza risaputo, mentre riferimenti a certa musica etnica si ritrovano nel track 9 (Verso la depressione) o nei track 11 (L’ultimo mare) e 19 (Preghiera della perdita) cantati entrambi da Nour-Eddine Fatty. Infine le figure minimaliste dei fiati (memori di certe opere reichiane) che avevano aperto e chiuso il track 1 si sovrappongono polifonicamente al tema fondamentale nel track 22: La linea del fuoco (primal midi version). Il lavoro è certo interessante e dona alla pellicola quel sapore misticheggiante e panteistico che la avvicina, per certi aspetti, ai temi, resi con ben altri esiti, di un film come La sottile linea rossa. Ma, alla lunga, l’ascolto ripetuto dei brani basati su parche variazioni di pochi temi, può ingenerare nell’ascoltatore meno avvezzo, un fastidioso senso di noia.

Autore: Pivio & Aldo de Scalzi; Titolo: El Alamein

Tracklist:

1) Arrivo al deserto 2) Corale per i caduti (testi di B. Eramo) 3) Caccia al cecchino 4) Lettera ai genitori 5) Ritirata 6) Racconto dei miracoli 7) La linea del fuoco 8) Dopo la battaglia (movie version) 9) Verso la depressione (con P. Modugno) 10) Il mare di mezzo 11) L’ultimo mare (con G. Lo Cascio) 12) Il primo mare 13) Assalto al fortino 14) Arresto 15) Dopo la battaglia (original version) 16) Addio ai compagni 17) In trincea 18) Dialogo sotto il cielo 19) Preghiera della perdita 20) Fiati 21) Ipotesi per una tensione 22) La linea del fuoco (primal midi version) 23) All’improvviso la pioggia

[dicembre 2002]


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