X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



OST - John Tavener: Children of men

Pubblicato il 2 gennaio 2007 da Alessandro Izzi


OST - John Tavener: Children of men

La parabola creativa del compositore inglese John Tavener (classe 1945) è per certi aspetti paragonabile a quella di molti autori della sua generazione.
Come Henryk Gorecki (di appena dieci anni più vecchio) anche Tavener inizia la sua carriera all’insegna dello sperimentalismo più intransigente tipico delle avanguardie che si sono affermate in contesto europeo tra gli anni ’60 e ’70. Come per Arvo Pärt anche per il compositore inglese la conversione alla Chiesa ortodossa segna un punto di svolta sia a livello umano e personale, sia a livello creativo; una vera e propria sterzata (da molti intesa come un tradimento) che culmina con il definitivo rifiuto di ogni tipo di asprezza musicale e con l’inizio di un processo di purificazione formale delle composizioni da ogni eccesso di intellettualismo.
Due sono i segni distintivi di questa specie di piccola rivoluzione nel modo di fare musica.
Il primo agisce direttamente nello spazio dell’orchestrazione con la scelta di una palette orchestrale estremamente rarefatta dominata dagli archi (spesso unici protagonisti delle composizioni), dalla voce umana (sia nella formazione corale che nel dispiego solistico, nel qual caso le voci predilette sono quelle sopranili o meglio ancora contraltiste) e da percussioni spesso usate non come sostegno ritmico, ma come compimento e abbellimento (campane).
Il secondo muove, invece, su scelte di carattere agogico, con la preferenza data a tempi lenti ed estremamente dilatati entro cui trovano spazio solo pochi elementi melodici che vanno a distendersi entro archi di tempo lunghissimi senza che vi sia alcuno sviluppo sensibile del materiale. L’unico avanzamento possibile, a livello strutturale, resta quindi solo la sommatoria di ripetezioni estenuate, con poche variazioni e con crescendo e diminuendo dinamici che vanno spesso di pari passo con l’acuirsi o l’aggravarsi della tessitura dei brani.
Una sorta di voto di castità musicale, quello di cui stiamo parlando, in cui l’individualità del compositore sembra volersi sciogliere nel nulla quasi che l’autore, posto di fronte all’assoluta grandiosità del Creatore cui rivolge le sue preghiere musicali, dichiari, con umiltà, la sua mera dimensione di artigiano.
Che si sia o non si sia fedeli, non si può non restare ammirati di fronte all’incantata ieraticità dei brani di questa sorta di nuovo minimalismo imparentato strettamente con i modalismi della musica medioevale ed è che una sorta di timore reverenziale che ci accostiamo ora alla colonna sonora di Children of men che è anche la prima opera per il cinema di Tavener.
Da quanto detto sinora e ricordando la carica materica delle riprese di Alfonso Cuaron è da subito evidente, comunque, come la musica si ponga nei confronti dell’immagine in una posizione assolutamente peculiare. Regista e compositore, infatti, operano una scelta stilistica palesemente di rottura rispetto a quelle che siamo abituati ad associare ai classici film di fantascienza sociologica. Con la sua dimensione volutamente "altra" rispetto al narrato, la musica sembra voler rivendicare ad ogni passo una dimensione ulteriore del tutto esterna all’azione tout court. Se l’immagine, anche in virtù dell’abbondanza di piani sequenza, rivendica il suo essere sempre dentro il presente, la musica, con la sua carica arcana e misteriosa, vive, invece, sia nel passato dei ricordi (quelli di un mondo dove la nascita era cosa natuarale e la voce dei bambini qualcosa di più che un mero miraggio) e quella del futuro (delle speranze e delle aspettative di tutti).
Di qui la sua malinconia esasperata, la sua espressione dolente e commovente che urta, nella sua palese atemporalità e circolarità, con il fluire inarrestabile ed ineludibile degli eventi.
Già il primo brano della colonna sonora (track 1: Fragments of a preyer) rivela questa aspirazione indefinibile. La traccia, che si dipana nello spazio di oltre quindici minuti è l’esatto prototipo di tutta la musica di Tavener. Dominato dal canto solenne del contralto sostenuto da una compagine di soli archi, il brano avanza secondo un andamento rapsodico che è virtualmente impossibile ricondurre ad una struttura definita. Se il senso di continuità del tutto è garantito dal ripetersi a tratti di un breve tema modaleggiante in unisono tra voce ed archi, non da meno si ha sempre l’impressione di perdersi in questa commossa perorazione di pace. L’orchestra d’archi è prevalentemente trattata come un sostanziale blocco unitario che spesso limita la sua azione al mero raddoppio della voce umana ad amplificare il pathos della sua preghiera. Eppure ci sono dei momenti, all’interno del brano, in cui la voce tace e gli archi vengono contrappuntisticamente divisi in gruppi che, a canone, introducono un tema secondario di un’intensità disarmante.
Diversa temperie espressiva si respira nel track 2 (Eternity’s Sunrise) che ripete, con poche variazioni, un semplice modulo tripartito composto da:
a) una sezione composta all’insegna di un recupero medioevaleggiante con la voce impegnata in salti di tono apparentemente desunti dalla scuola fiamminga,
b) una sezione solenne fondata sull’andamento accordale degli archi con la voce sotto cui si innestano piccoli giri di scalette ascendenti e discendenti di un discretissimo organo e
c) una sezione improvvisamente più mossa ed impervia con la voce intrecciata a figurazioni dei flauti.
Il punto più alto del cd è, comunque, toccato nello straordinario track 8 (Mother and child) che rivela una sapienza incredibile nella scrittura corale (certamente debitrice del miglior Gorecki) per un brano pensato prevalentemente a cappella e solo verso la fine impreziosito dall’intervento impressionante dell’organo e poi delle campane.
Se il track 6 (Song of the angel) è un canto alleluiatico di matrice barocca con il duetto virtuosistico per imitazione tra voce e violino e con rari interventi di sostegno dell’orchestra, il track 9 (Mother of God, Here I stand) si impone come unico pezzo assolutamente strumentale (e di grande impatto) di tutto lo score composto appositamente per il film.
Completano il cd alcuni brani non originali. Uno è opera dello stesso Tavener (track 7: The Lamb per sola orchestra d’archi: uno dei suoi capolavori più giustamente celebri), mentre gli altri seguono un percorso assai originale nella storia della musica che deve essere opera della sapienza musicale di Cuaron. Oltre ad un brano di Handel (War, he sung, is toil and troubl che sembra essere la fonte d’ispirazione per Double Trouble uno dei brani più geniali dello score di John Williams per il terzo Harry Potter firmato proprio dal regista messicano) c’è posto per uno dei più pregnanti e belli Kindertotenlieder di Mahler e per il capolavoro assoluto del secolo scorso: Trenodia per le vittime di Hiroshima di Penderecki che, nel film, accompagna, con le sue masse di suono incandescente, coi glissando e i pizzicato apocalittici che lo compongono, le cruente scene di guerriglia.

[Gennaio 2007]


Autore: John Tavener
Titolo: Children of men
Etichetta: Varese Sarabande

Tracklist: 1) Fragments of a Prayer 2) Eternity’s Sunrise 3) Alexander’s Feast - G.F. Handel 4) Nun Will Die Sonn’ So Hell Aufgeh’n - Gustav Mahler 5) Threnody for the Victims of Hiroshima - Krzysztof Penderecki 6) Song of the Angel 7) The Lamb 8) Mother and Child 9) Mother of God, Here I Stand


Enregistrer au format PDF