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OST - LA MARCIA DEI PINGUINI

Pubblicato il 12 dicembre 2005 da Daniele Coluccini


OST - LA MARCIA DEI PINGUINI

Per questo affascinante e coinvolgente documentario, la creazione della colonna sonora è stata affidata alla giovane musicista francese Emilie Simon. Al suo quarto album, l’artista rivela una grande maturità nell’utilizzo e nella manipolazione del materiale sonoro in tutte le sue forme. Ogni traccia del suo ultimo disco, interamente dedicato a questo documentario, è un piccolo mondo a sé di suoni e atmosfere estremamente ricercate. Il suono diventa plastico e malleabile, alla purezza e alla fedeltà del reale timbro degli strumenti, viene preferito lo stravolgimento e l’alterazione di ogni frequenza, volto a creare una realtà parallela che possiede solo una reminiscenza del mondo che ci circonda. Non è un caso che sia stato scelto questo tipo di “sound” per sottolineare le immagini dell’estenuante viaggio dei pinguini imperatore. L’ambientazione antartica si sposa (e in alcuni momenti si fonde) perfettamente con questo atipico contesto sonoro. Le grandi lande desolate, il bianco che si perde a vista d’occhio, gli iceberg che emergono maestosi dalle superfici ghiacciate, donano all’occhio dello spettatore un immediato smarrimento, dato dalla consapevolezza dell’esistenza di un mondo così vicino, ma allo stesso tempo tanto avverso. In questo immenso mare dominato dall’assenza di ogni colore, piccole e buffe figure nere vivacizzano la monotona tavolozza cromatica.
È da questo sentimento che scaturiscono le musiche della Simon. Dall’assenza del suono, piccoli sprazzi di percussioni, di voci, di timbri impalpabili, emergono per sottolineare ciò che l’occhio sta osservando. Già dalla prima traccia (The Frozen World), gli strumenti che predominano in tutto il disco, iniziano a presentarsi. Primi fra tutti gli xilofoni e i vibrafoni che mescolano il loro suono alla fredda visione, rendendo quasi tangibile il costante scricchiolio del ghiaccio. In questo contesto la piccola e flebile voce della cantante si inserisce perfettamente, creando gradevoli armonie volutamente disturbate da sibilanti allitterazioni consonantiche. In questo modo la voce diventa strumento e, alla normale emissione vocale, viene preferito un canto fatto di sussurri e fiati. La componente armonica di alcuni brani si carica di significato sfruttando la confusione creata dall’incertezza tonale e, il frequente cambio di modo fra maggiore e minore, rende ulteriormente evanescente la gamma sonora; a ciò nella traccia 4 (Song Of The Sea) , viene aggiunto l’insistente segnale di un sonar che, usato come percussione, immerge letteralmente l’ascoltatore in un mondo subacqueo nel quale suoni e rumori si mescolano. L’incertezza non è solamente di tipo armonico ma si ritrova, anche a livello ritmico, nella track 9 (Song Of The Storm). Il brano, che sembra caratterizzato da tinte pop, stupisce e disorienta con brusche e inusuali sincopi ritmiche che però, a distanza di qualche misura, riconducono ad un più rassicurante “battere”. La confusione fra rumore e musica si fa sempre più serrata e, in Baby Penguins (traccia 5), finisce per trasformarsi in un suono familiare. Un ostinato di vibrafono infatti, si fa portavoce del tempo che scorre, riproducendo l’effetto di un orologio a pendolo che scandisce lento ed inesorabile lo sviluppo del piccolo pinguino nel suo uovo. La crescita dell’embrione viene enfatizzata dalla progressiva aggiunta di suoni che confluiscono, infine, nella completa strumentazione del brano.
Alcune composizioni si discostano maggiormente da quelle sopra citate per l’uso di strumenti e di gruppi strumentali più “convenzionali”. Ciò che però non viene mai intaccato è l’atmosfera. Il senso di evanescenza a cui l’orecchio è stato ormai abituato, viene preservato gelosamente. Muta così il timbro ma non il senso timbrico. Particolarmente toccante, anche se breve, è la traccia 10 Mother’s Pain posta nel momento in cui un pinguino perde il proprio piccolo. È una marcia funebre affidata agli archi e più propriamente ai violoncelli che, formando accordi nel registro grave, rendono la situazione particolarmente drammatica. L’andamento gli conferisce un carattere che lo avvicina al celebre, anche se di più grande respiro, “adagio per archi” di Samuel Barber, più volte usato nel cinema.
Gli ultimi due brani del disco, delle bonus track, sembrano voler tirare le fila dell’intero album. Footprints In The Snow (traccia 12), possiede un carattere opposto alle altre tracce essendo eseguito da una grande orchestra. Viene abbandonata l’atmosfera minimalista dei brani fino ad ora ascoltati e viene lasciato il posto ad una melodia cantabile di ampio respiro affidata alla sezione degli archi e a due flauti che si perdono in un contrappunto di grande vivacità. Chiude l’opera Ice Girl, brano nel quale l’autrice entra a far parte del mondo antartico divenendo lei stessa una donna di ghiaccio. Raccogliendo a piene mani il “sound” dell’islandese Björk, Emilie Simon riesce a creare una colonna sonora di grande originalità e maturità rivelando una grande capacità creativa e una fervida fantasia.
Da ascoltare e riascoltare.

Autore: Emilie Simon; Titolo: La marche de l’empereur; Etichetta: IMS-Barclay

Tracklist: 01) The Frozen World 02) Antarctic 03) The Egg 04) Song Of The Sea 05) Baby Penguins 06) Attack Of The Killerbirds 07) Aurora Australis 08) The Sea Leopard 09) Song Of The Storm 10) Mother’S Pain 11) To The Dancers On The Ice 12) All Is White 13) The Voyage 14) Footprints In The Snow (Bonus Track) 15) Ice Girl (Bonus Track)


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