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Ost - Sweet sixteen. Musiche per i film di Ken Loach

Pubblicato il 19 dicembre 2003 da Alessandro Izzi


Ost - Sweet sixteen. Musiche per i film di Ken Loach

Il cinema di Ken Loach sembra, per sua stessa natura, voler rifiutare a priori tutto ciò che è facile suggestione o ammiccamento verso i gusti e le aspettative del pubblico. Così calato com’è nel mondo che lo circonda e così immerso nel sogno utopico di cogliere la realtà nel suo incessante divenire, ogni film del regista inglese dà l’impressione di voler rifiutare qualsiasi forma di musica extra-diegetica e qualsiasi forma di sovrapposizione autoriale che necessariamente consegue all’impiego di un brano musicale di commento all’azione. Quando si ragiona a livello teorico e a freddo sull’opera di Loach si ha l’impressione che in linea di principio la musica possa, sì, essere presente all’interno di una pellicola, ma che essa possa essere collocata, all’interno del piano drammaturgico posto in essere dal regista, nella sola posizione diegetica, come, cioè, parte integrante dell’azione messa in scena. La musica, in altre parole, ha diritto di essere presente nel mondo del film solo se essa è una diretta emanazione del mondo e del vissuto dei vari personaggi; lo spettatore, in altre parole, può ascoltarla solo se sono i personaggi del film ad ascoltarla. In realtà, però, quando si va ad osservare più da vicino un qualsiasi film del regista ci si rende ben presto conto che questa impressione, dettata da una solo superfiale comprensione delle dinamiche comunicative messe in atto, è quanto mai sbagliata, e che il mondo filmico loachiano non solo dà abbondante spazio alla musica extra-diegetica, ma fa anche in mondo che questo spazio sia spesso centrale e mai semplicemente ancillare. Ed è curioso, ma al tempo stesso estremamente significativo, notare come rapidamente vengano dimenticati, dallo spettatore, tutti i brani musicali che invece compongono il tessuto multiforme di un film dell’autore. Di certo Loach impiega la musica con una parsimonia esemplare ponendosi, per questo, in netta controtendenza con la prassi abituale del cinema non solo anglosassone. In questo modo l’intervento del brano musicale all’interno del processo espressivo messo in atto dalla pellicola si fa più incisivo e al tempo stesso più invisibile. Caratteristica comune a tutte le composizioni utilizzate dal regista per impaginare il sound delle sue opere è l’assoluta coerenza con l’ambiente sonoro (e drammaturgico) che le deve ospitare. Sembra quasi che anche la musica debba sorgere spontaneamente dal mondo e dagli ambienti messi in scena nelle varie pellicole, quasi ne fosse una diretta emanazione sonora. Una musica d’ambiente, insomma, capace di adeguarsi grazie alla sua discrezione non invadente, a tutti gli snodi drammaturgici previsti dalla sceneggiatura senza indulgere in quella forma di commento esterno all’azione (ora patetico, ora sentimentale, ora vuotamente ironico) tipica dell’impiego della musica per film del cinema hollywoodiano. Per Loach, insomma, la musica deve essere uno sfondo neutro (ma non neutrale) capace di aggiungere utili informazioni sullo svolgimento del plot della pellicola, ma senza quell’appello alla bassa sentimentalità del pubblico in sala. E l’ideale del regista parrebbe essere quello di una colonna sonora capace di sottolineare senza evidenziare, di raccontare senza commentare quanto viene espresso nella narrazione. In questo senso George Fenton (abituale collaboratore del regista) realizza per l’autore dei brani musicali assolutamente neutri e non invasivi, capaci di calarsi all’interno del film senza la baldanza tipica di un brano morriconiano, tanto per fare un esempio, che entra (sia detto ad onor del vero) in punta di piedi nell’immagine/sequenza per poi occupare, all’interno della stessa, una posizione via via più significativa. Ad ascoltare la musica di Fenton al di fuori del mondo filmico per cui era stata concepita, si resta colpiti dalla straordinaria carica spaziale che questa musica si porta dietro. È una musica, quella del compositore, pensata per riempire gli spazi, per occupare naturalmente gli ambienti. Anche nei momenti in cui essa è più discreta (come per tutti i brani di Sweet sixteen) non da meno essa continua ad essere capace di riempire, con le sue volute suggestive, la più vasta delle cattedrali. Si ascolti l’introduzione del track 1 (Sweet sixteen Opening titles) per rendersene conto, con quel notturno incedere del sintetizzatore su cui si innesta, poi, il timbro dolente del sax (vera star di tutta la composizione e correlativo sonoro dello stesso protagonista della pellicola: Liam) con il suo breve inciso tematico di appena tre toni, poi ribadito a più riprese anche nella successiva elaborazione quasi jazzata. E si guardi con quale discrezione lo stesso sax si appropri del mondo sonoro del track 2 (The caravan) a rendere il disperato sogno di Liam per un futuro migliore: fiducia, speranza e senso di ineluttabilità al tempo stesso. Ma il momento più grande delle musiche per questo film, lo troviamo tutto nel folgorante finale (track 7: Sweet sixteen Closing titles) quando ogni speranza si è spenta e la musica conduce per mano lo spettatore e il personaggio verso un horror vacui simbolizzato efficacemente, a livello visivo nel film, dalla deserta riva del mare su cui passeggia senza meta Liam. La stessa ripresa (che non è letterale) delle atmosfere notturne della sequenza di apertura (quasi a voler chiudere in un cerchio senza soluzione le gesta dell’eroe/antieroe di questa pellicola) e del tema di Liam urtano efficacemente con la comprensione di come se è vero che nulla è cambiato alla fine del film, qualcosa si è irrimediabilmente perduto: l’innocenza colpevole dei dolci sedici anni del protagonista. Le musiche più belle (ma non più efficaci dal punto di vista drammaturgico) del CD le si trovano, comunque, verso la fine. Sono i brani composti per Bread and roses, opera meno riuscita del regista. E si ascolti l’eccellente Trolley Trouble (track 17) per rendersi conto della straordinaria carica brechtiana che possono avere certe musiche (il riferimento a Kurt Weill è d’obbligo) nel loro imitare espressivamente le facili soluzioni di certe marcette di puro consumo. Mentre bellissimo è il duetto barocco di chitarre nell’evocativo track 19 (The letter) ad evidenziare una competenza musicale che non si esaurisce nelle sole atmosfere urbane di musica blues-jazz. Un CD da ascoltare assolutamente.

Autore: George Fenton; Titolo: Sweet sixteen, The Navigator, Bread and Roses

Tracklist

Sweet sixteen

1) Sweet sixteen Opening titles 2) The Caravan 3) Delivering Pizzas 4) Watching through Binoculars 5) The walk to Chantelle’s 6) Kennel raid 7) Sweet sixteen closing Titles

The Navigators

8) The navigators opening titles 9) Redundancy letters 10) Clocking on 11) Go to sleep? 12) Working on the line 13) The accident/Closing titles

Bread and Roses

14) Crossing the border 15) Seedy Motel 16) Maya Waits 17) Trolley trouble 18) Sam and Maya meet 19) The Letter 20) Farewell Maya 21) Bread and Roses closing titles

[dicembre 2003]


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