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Ost - The company

Pubblicato il 19 marzo 2004 da Alessandro Izzi


Ost - The company

A dare un’occhiata alla tracklist dell’album che contiene le musiche per l’ultimo film di Robert Altman si potrebbe certo avere l’impressione di trovarsi di fronte ad un’accozzaglia immotivata di brani tra loro assolutamente eterogenei. Come poter motivare altrimenti l’accostamento tra My Funny Valentine cantata da Elvis Costello e il Bach di una suite per violoncello solo? Come spiegare la convivenza tra le atmosfere lynchiane del Badalamenti di The World Spins con la graziosità ottocentesca e classicheggiante del Pas Redoublie di Saint-Saens? Si potrebbe in effetti pensare, e ad un primo e superficiale ascolto l’impressione parrebbe avvalorarsi di minuto in minuto, che la scelta dei brani se può, forse, essere in qualche misura motivata da un punto di vista narrativo (è pur sempre la musica sulla quale danzano i protagonisti del film) resta, nel suo insieme, incapace di trovare una propria coerenza interna per quel semplice ascoltatore che si è accostato al disco senza l’appiglio della conoscenza del film stesso. Ipotesi questa che potrebbe trovare conforto anche nella considerazione che, secondo una scelta di principio coerente e quasi rohmeriana, la musica assolve, nell’arco narrativo del film, un’azione prevalentemente (se non assolutamente) diegetica e non sembra volersi piegare mai ad una funzione di puro e semplice commento. Essa è, in altre parole, parte integrante del mondo dell’azione e, una volta estrapolata dal suo contesto narrativo, finisce per perdere quel principio di coerenza interna che solo la storia poteva garantirle. È l’azione, insomma, a motivare la coesistenza, in uno stesso organismo, di pezzi così distanti tra loro; tolta l’azione restano solo brani isolati, monadi inerti a galleggiare nella superficie arabescata di un comune CD. Eppure basta anche solo rileggere l’incriminata tracklist per rendersi conto che, in realtà, quella che si ha di fronte non è una piatta compilation di “pezzi preferiti”, ma una scelta coerente che si disegna e si vuole impostata sui principi della classica suite barocca (non a caso una raccolta di danze non necessariamente scritte per essere poi realmente ballate). E basta, poi, qualche ascolto per rendersi conto, con un certo stupore, che i motivi di coerenza all’interno dei vari movimenti che costituiscono questa suite sono qualcosa di più di un semplice principio di varietà secondo cui l’unico elemento che accomuna ogni singolo brano è l’assoluta diversità da tutti gli altri (principio su cui erano impostate non poche suite barocche). In verità una certa coerenza interna è inseguita, in questa suite, attraverso due percorsi diversi, ma complementari. Il primo è quello di cercare di favorire un’impressione di unità mediante il ritorno ciclico di uno stesso materiale tematico: è il caso della celebre My Funny Valentine riproposta qui in quattro differenti esecuzioni/reinterpretazioni una più bella dell’altra. Il secondo è quello di isolare (soprattutto nel finale) almeno un paio di brani che siano capaci di farsi sintesi poetica di quanto li circonda: sono i due brani composti da Van Dyke Parks che rielaborano molto liberamente spunti dei precedenti balletti e li riconducono all’interno di un discorso unitario che rivela una necessaria attenzione alla trasparenza del contrappunto e ad un’orchestrazione che riesce fare da ponte tra il soliloquio bachiano e la percussività di certa world music (in particolare Rabekin di Russ Guthier). Resta, alla fine, il fatto che è sempre meraviglioso poter riascoltare alcune perle della storia della musica occidentale. Chi non ha amato l’esecuzione di Elvis Costello di My Funny Valentine? Chi può sottrarsi al fascino della rilettura dello stesso brano da parte di un ancora giovane (ma già quanto straordinario) Chet Baker? E tacciamo qui della bellissima rielaborazione del Kronos Quartet, formazione, quest’ultima, da sempre attenta a valorizzare esperienze musicali al limite tra i vari generi. Restano infine la bellezza arcana della musica di Saint-Saens e lo splendore impressionante del minuetto dalla Suite numero 1 in sol maggiore per violoncello di Bach (eccellentemente interpretati da Yo-Yo Ma). Ma, e il discorso vale soprattutto per il secondo, siamo qui sulle vette dei più immensi capolavori mai concepiti da mente umana.

Autore: A.A.V.V.; titolo: The company; etichetta: Sony

Tracklist:

1) My Funny Valentine - Elvis Costello 2) Bach: Menuett - Yo-Yo Ma 3) The World Spins - Julee Cruise 4) Rabekin - Light Rain 5) Appalachia Waltz - Yo-Yo Ma 6) My Funny Valentine - Chet Baker 7) My Funny Valentine - Marvin Laird 8) Ray One From Creative Force - John Zeretzke 9) Curtain Calls - Van Dyke Parks 10) My Funny Valentine - Kronos Quartet 11) Saint-Saens: Pas Redoublie - Budapest Philharmonic Orchestra 12) Blue Snake & Zebras - Van Dyke Parks

[marzo 2004]


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