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Padiglione22

Pubblicato il 23 dicembre 2008 da Edoardo Zaccagnini


Padiglione22

Per vedere Padiglione 22 bisogna vivere a Roma. Per ora, anche se (pare che) il film uscirà pure in altre città, mai piccole, tra qualche tempo. Intendiamoci, non è che nella città del Papa, il film si trovi un po’ dovunque. Al contrario, bisogna andarselo a trovare col lanternino, e molti cittadini non sanno nemmeno che il film esista. Si tratta di un esperimento interessante ed ovviamente poverissimo. Vi hanno preso parte, oltre che il regista Livio Bordone, anche due attori tutt’altro che sconosciuti agli amanti, spesso non ricambiati, del cinema italiano contemporaneo: Regina Orioli (L’ultimo bacio, Ovo sodo) ed Elio Germano (Mio fratello è figlio unico, Romanzo criminale, Che ne sarà di noi, Liberi, Il passato è una terra straniera, Come dio comanda). Anche se, in questo film, il trasformista romano interpreta un ruolo assolutamente minore. Padiglione 22 si produce nello sforzo encomiabile di coniugare la passione per il thriller/horror all’impegno storico e sociale. I due temi di fondo incrociati sono quello della malattia mentale e il modo in cui il nostro paese l’ha affrontata (non solo) fino al 1978. L’anno cioè, della preziosa e storica legge Basaglia. In questa direzione, una certa tradizione nel cinema italiano esiste, e due esempi piuttosto indicativi sono quelli di Diaro di una schizofrenica, di Nelo Risi, e quello più recente e popolare di La Meglio Gioventù. Mai, tuttavia, nella storia del cinema nostrano, era avvenuto un matrimonio tra cinema di genere per eccellenza (l’horror) e l’argomento psichiatrico trattato con tanta attenzione alla Storia. L’idea è venuta al regista un giorno di qualche anno fa (il film esce adesso ma è stato realizzato nel 2005), pare dopo aver visitato l’ex manicomio romano di Santa Maria della pietà). Il progetto è interessante ed il soggetto tratta di una vicenda familiare distesa su due binari paralleli, distanti tra loro una trentina d’anni: il primo torna agli anni della legge Basaglia ed il secondo poggia sul terreno del presente, in un paesaggio astratto che cerca di non svelare mai le sue location, anche se traspare, con una certa involontaria chiarezza, la sovrapposizione tra Roma e il capoluogo siciliano. E’ la storia di un ragazzo schizofrenico portato via dal manicomio nel 1978. A casa lo attendevano due genitori ed una piccola sorella gelosa. Quel povero “pazzo” verrà poi trasferito in una clinica psichiatrica, dove diventerà tanto adulto quanto abbandonato a se stesso e al proprio dolore. Finchè un giorno morirà e da allora la sorellina, ormai donna, si troverà costretta a rivivere drammaticamente tutta la sua tragica vicenda familiare. In un viaggio in sospeso tra la visione onirica della protagonista e il soprannaturale del genere, la giovane donna incontrerà il fantasma/demone di suo fratello e il suo viaggio nella sofferenza culminerà nella soluzione fatale e per tanti versi liberatoria. Quale aspetto domina nel film? L’approccio storico o quello emozionale? Decisamente il secondo, visto che il primo è tanto presente quanto accennato, diremmo significativamente scenografico. L’interesse principale del film è quello di sedurre e sconvolgere lo spettatore attraverso uno sviluppo emozionale che, con qualche momento positivo mescolato ad altri non riusciti, si propone di far vivere ai pochi temerari spettatori di Padiglione 22, lo spasimo terribile del disastro interiore di chi è posseduto da tale tremenda e oscura patologia. Come avviene la ricerca dello stupore spettatoriale? Con un insieme di artifici registici (suoni, storpiature di immagini, stratagemmi di montaggio), soluzioni scovate nella storia del cinema Horror, classico e recente. La povertà di mezzi non aiuta certo la pellicola e egli effetti speciali adoperati dalla stessa non ci paiono impeccabili. Il doppio strato della vicenda, poi, seppur ambizioso da un punto di vista teorico, non appare sempre facile da assorbire e in qualche tratto obbliga ad una memorizzazione innaturale degli elementi narrativi. Resta, però, e questa frase rischia di essere terribilmente ripetitiva, la ricerca di un prodotto originale e poco omologato alla tendenza comune. Gli attori, soprattutto la Orioli, danno prova di affidabilità e il soggetto segna certamente l’aspetto più interessante dell’opera. La fotografia è il reparto che soffre maggiormente del percorso avventuristico del film e il buio che domina la pellicola risulta un limite obbligato più che una reale scelta estetica. Gli aspetti storico sociali tornano con decisione alla fine del film ma il loro atteggiamento posticcio non toglie a questo povero progetto le sue qualità personali, quelle cioè di un tentativo ardito e coraggioso che non ascolta nessun cinema italiano, se non quello che manca.


(Padiglione 22); regia: Livio Bordone, sceneggiatura: Livio Bordone, fotografia: Marco Carosi, montaggio: Giuseppe Pagano, scenografia: Ivana Gargiulo, costumi: Ludovica Amati, musica: Puccio Pucci, Andrea Sisti, interpreti: Regina Orioli, Giuseppe Antignati, Arturo Paglia, Elio Germano, Gaetano Amato, Corinna Lo Castro, produttore: Arturo Paglia, Isabella Cocuzza produzione: Paco Cinematografica, con il contributo del MiBAC paese: Italia, 2006, durata: 82’, formato: 35mm - colore sonoro: Dolby Digital


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