X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



PADRE PADRONE: IN(OLTRE) LA SARDEGNA

Pubblicato il 5 marzo 2007 da Edoardo Zaccagnini


PADRE PADRONE: IN(OLTRE) LA SARDEGNA

Padre Padrone, 1977, è la storia dell’emancipazione da una condizione atavica di sudditanza culturale. Ma è anche la perifrasi di una rivoluzione. Nel sacrificio del protagonista si concentra l’esperienza universale di una terribile educazione e la presa di coscienza di questa esperienza. La liberazione è traumatica, come traumatica è stata l’educazione ricevuta. Quella che i Taviani fanno di Gavino Ledda è una storia esemplare: il paradigma di un presente diverso dal passato. Padre Padrone è la vicenda di un bimbo pastore che un padre biblico strappa alla scuola e porta tra i monti ad imparare il mestiere di pecoraio. La solitudine assoluta, i silenzi interrotti da abbaglianti fantasie, l’autosufficienza totale, la violenza della natura e dei rapporti, vengono sopportati da Gavino con un una forza notevole. Quello che si sviluppa tra padre e figlio è un rapporto da padrone a schiavo: ordini perentori, prescrizioni indiscutibili, botte selvagge in caso di disobbedienza o di errore. Ma il comportamento del pastore è pedagogia e fa parte (secondo lui e secondo lo schema da cui proviene) dei doveri paterni. Egli insegna ciò che gli è stato insegnato, riproduce la condizione che lo ha prodotto: non ha altra lezione da impartire se non quella che ha appreso dal padre.
La ‘rivoluzione’ di Gavino consiste nell’interruzione del ciclo: è violenza contro un ordine delle cose tanto secolare da essere divenuto naturale. La sua protesta è inizialmente una ribellione istintiva che solo in seguito si trasformerà in una coscienza in grado di elaborare il programma di un’azione precisa. Sarà la sua acculturazione a far saltare definitivamente i lucchetti e gli sbarramenti che lo costringevano nelle sabbie mobili dell’incoscienza e delle remissività. Nella confidenza con i libri egli infrange la ghettizzazione in cui è stato recintato, con lo studio del vocabolario apprende i codici linguistici e quello sarà un modo per esplorare il significato delle parole e per esercitare la critica di alcuni concetti-guida. Durante le esercitazioni, Gavino ed un suo commilitone, dialogano in latino e si palleggiano i versi dell’Eneide: sono scampati al gioco di una cultura irregimentatrice.
Il film elabora anche la metamorfosi della società contadina ma se la sua metafora non è racchiudibile entro il perimetro della Sardegna, non lo è nemmeno dentro quello, più vasto, della civiltà contadina. Il rapporto tra Gavino ed Efisio Ledda va collocato nell’antagonismo fra padri e figli, che è quasi una costante nella filmografia dei Taviani: appurabile in Sovversivi, in Sotto il segno dello Scorpione, in San Michele aveva un gallo e in Allonsanfan.
Padre Padrone si scaglia contro ogni famiglia (contadina o borghese che sia) in cui il padre non ammette insubordinazioni e tende a predicare un sapere immobile. Primo passo di una rivoluzione ideale, loro direbbero dell’Utopia, distruggere il cordone ombelicale col passato, rivederlo, criticarlo. Il cinema dei Taviani è da prima di Padre Padrone l’attestazione del bisogno di cambiamento, mai contemplazione della realtà ma sempre giudizio dinamico su di essa, constatazione e superamento del presente. Gavino e suo padre sono esseri in carne ed ossa, trapiantati in un preciso contesto ambientale e culturale, autentici eppure provvisti dello sbalzo necessario a personificare tendenze che trapassano lo spessore e la localizzazione delle loro imprese. Vivi, ma al contempo generalizzazioni. Infatti, nelle memorie di Ledda si immedesima la Sardegna dei contadini poveri ma anche quella di tutte le giovani generazioni che uniscono all’amore della propria terra, l’ansia di giustizia sociale. Nell’odissea di Gavino si identifica la collettività dei subordinati a tal punto da ritenersi essa stessa la matrice di un’opera nella quale l’ autore si sarebbe limitato a plasmare comuni sentimenti e comuni travagli. E’ il tratto distintivo che i fratelli Taviani, nella reinvenzione cinematografica, sottolineano sin dalle prime battute: la connessione tra la vicenda che sta per iniziare e le traversie dei diseredati non solo sardi, l’anello che concatena la parabola di Gavino Ledda e le sofferenze di tutta una classe sociale.
Padre padrone contesta una cultura forgiata per mantenere le masse popolari in stato di inerzia. I Taviani guardano a una cultura che fecondi le difese critiche e non si risolva nel trasmettere i lasciti del passato. È questa che libererà Gavino dal mondo che il padre incarna, il mondo di coloro i quali hanno ‘prima obbedito e comandato dopo’. La rottura del cordone ombelicale è un atto chirurgico e violento. Gavino ed Efisio si pestano alla presenza esterrefatta dei familiari e il padre sarà sconfitto. Al figlio non resta che licenziarsi dalla casa paterna, per una vittoria che non è soltanto sua: ribellandosi, ha risarcito le castrazioni ammucchiatesi in famiglia e nella società.

Torna allo Speciale cinema Sardo


Enregistrer au format PDF