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Paju – IFFR 2010 – Bright Future

Pubblicato il 29 gennaio 2010 da Luca Lardieri


Paju – IFFR 2010 – Bright Future

“purtroppo credo che molti di voi, non conoscendo la storia del mio Paese, non potranno capire. Spero comunque che il film vi riesca ad emozionare lo stesso”.

Con queste parole ha esordito Park Chan-Ok, quarantaquattrenne regista sudcoreana, presentando Paju, sua terza fatica, nonché lungometraggio d`apertura della trentanovesima edizione dell`International Film Festiva di Rotterdam. Un film sicuramente difficile da comprendere in tutti i suoi aspetti ma che grazie a degli interpreti bravissimi, un uso della macchina da presa mai banale e ad una fotografia sorprendente (da anni ormai il cinema orientale ci sta regalando cose sublimi in questo senso), non solo riesce ad appassionare e a commuovere ma a mettere in evidenza pregi narrativi che raramente si riscontrano nel cinema contemporaneo.
La storia, alquanto contorta a dire la verità, ci mostra un giovane attivista ricercato dalla polizia che in seguito ad un incidente domestico, capitato al figlio della sua amante, decide di rifugiarsi in una piccola cittadina di provincia, Paju. Lo rincontriamo qui sette anni più tardi, dove convive con una giovanissima studentessa e dove continua con la sua lotta alle forze dell`ordine in aiuto di persone meno fortunate. A questo punto il film inizia un viaggio a ritroso negli ultimi sette anni di vita dell`uomo, mostrandoci tutte le incredibili disavventure che gli sono successe (si sposa con una donna ricca e col corpo deturpato da delle ustioni, vive il lutto della donna che muore in un`esplosione di gas improvvisa e dalla dinamica piuttosto complicata, inizia una strana relazione con la giovane cognata ecc.) e che lo hanno portato in quella situazione.
Il bello del film di Park Chan-Ok, risiede proprio nella complessità della trama. Lo spettatore per più di un`ora dall`inizio della pellicola, non riesce a ricomporre nella maniera più adeguata tutti gli incastri del film, rimanendo da un lato piuttosto confuso e dall`altro completamente affascinato dalla bellezza delle immagini e dal pathos che ogni singola inquadratura riesce a far trasudare dallo schermo. C`è voglia e curiosità di riuscire a mettere in ordine tutti I pezzi del puzzle, senza mai il minimo accenno di noia o stanchezza. Ogni movimento di macchina è minuziosamente studiato, ogni slow motion, piano sequenza e primissimo piano geometricamente costruito sui movimenti e sugli intensissimi volti dei protagonisti.
Un film che ci ha convinto pienamente e che segnala con vigore questa giovane regista anche al panorama europeo. In realtà va detto che Chan-Ok si era già presentata qui a Rotterdam nel 2003 col suo film d`esordio Jealousy Is My Middle Name, con il quale ha vinto il festival, ma purtroppo, come ben sappiamo, questa è una vetrina che troppo spesso viene ignorata dal nostro Paese, quando in realtà è uno dei pochi festival che propone qualcosa di realmente diverso.


CAST & CREDITS

(id.); Regia e sceneggiatura: Park Chan-Ok; fotografia: Kim Woo-Hyung; montaggio: Kim Hyung-joo; musiche: Jang Young-Kyu; interpreti: Lee Sun-Kyun, Seo Woo, Shim E-Young, Kim Bo-Kyung; produzione: TPS Company; origine: Corea del Sud; durata: 110’


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