Paolo Cavara, un autore nascosto.
Bolognese, ecologista, antropologo, sempre alla ricerca di personaggi non convenzionali, particolarmente attento verso i perdenti, i sentimenti, i rapporti umani. I suoi occhi, abituati ad avventurarsi ed esplorare posti lontani, fin dai primi lavori, hanno raccontato il mondo attraverso quel genere nato negli anni Sessanta, il mondo movie (Mondo Cane, La donna nel mondo, Mondo Cane 2). Capace di sintetizzare finzione e documentario, bellezza e grandiosità della Natura, è stato sempre attento alle differenze e al dettaglio, che nelle sue opere ha elevato a simbolo, espressione peculiare della sua creazione artistica. Profondo conoscitore della modernità, e profondamente critico verso questa, ha intuito per primo la degenerazione socio-culturale italiana traducendola in immagini dal forte impatto visivo (il vecchio editore Rizzoli "si commosse" alla visione di un suo corto girato alla Rinascente di Roma).
Un regista con basi etiche e morali solide capace di andare oltre le apparenze per offrire una "pasoliniana" riflessione sulla giovane Europa (nel film inchiesta I Malamondo del 1964) e sul mezzo audiovisivo e il potere manipolatorio dell’immagine (nel suo primo film a soggetto L’occhio Selvaggio del 1967). Come ricorda il figlio Pietro nella prefazione al libro di Fogliato, "il cinema di mio padre è sempre stato una continua tensione tra finzione e realtà", cercando però di scardinare i piani per proporre la dicotomia verità e finzione. Un passaggio questo che conduce il regista bolognese a passare dal documentario al film di genere (La tarantola dal ventre nero, ...E tanta paura, Los Amigos), sperimentando alla fine della sua carriera anche il medium televisivo (Sarto per Signora, Fregoli senza dimenticare la trasposizione della famosa opera di Goldoni La Locandiera con la coppia Celentano-Mori). Riflessioni e soluzioni espressive anticonformiste, ancora profondamente attuali, sono gli aspetti illuminanti del suo cinema (pensiamo se un film come Mondo Cane fosse girato oggi nell’era di YouTube cosa ne verrebbe fuori, senza tralasciare inoltre una pellicola come La cattura). Non sorprende dunque che voyerismo, trasformismo, cinismo e violenza siano ancora oggi espressione del Bel Paese e del Mondo Occidentale, ancora oggi incapace di guardare.
Paolo Cavara - Gli occhi che raccontano il mondo risulta un’indagine sull’estetica del cinema del regista bolognese. Il critico torinese Fabrizio Fogliato (redattore per Rapportoconfidenziale.org e autore di volumi su Michael Haneke e Abel Ferrara) costruisce infatti un contributo ampio e importante per un autore non convenzionale e lasciato ancora ai margini dai libri di storia del cinema. Il libro, diviso in due parti (una biografica e una critica sulle opere), raccoglie documenti tecnici (trascrizione dei soggetti di Mondo Cane e I Malamondo), storici (sondaggi critici su tutti i suoi film) e fotografici sull’opera dell’autore (tra cui uno scatto a Trastevere di Celentano e Cavara sul set della pellicola I Malamondo). Corredato da un ricco contributo del figlio Pietro (intervistato all’interno del libro dallo stesso Fogliato) contiene curiose testimonianze di personaggi famosi che hanno lavorato con il regista bolognese (tra cui Riz Ortolani, Giancarlo Giannini, Gigi Proietti). Un saggio monografico che amplia i lineamenti del cinema invisibile di Paolo Cavara e restituisce il ritratto di un uomo dalla profonda sensibilità.

Gli altri libri di Fabrizio Fogliato recensiti da Close-Up:
Flesh and Redemption. Il cinema di Abel Ferrara
La visione negata. Il cinema di Michael Haneke