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Peccato e anticlericalismo nell’opera di Lucio Fulci

Pubblicato il 2 agosto 2012 da Giuseppe Valentino


Peccato e anticlericalismo nell'opera di Lucio Fulci

Poeta del macabro, godfather of gore, terrorista dei generi. Soprannomi affibbiatigli per gli horror degli anni ottanta. Opere come Quella villa accanto al cimitero ed E tu vivrai nel terrore … L’Aldilà. Film che hanno formato il gusto di una generazione di cineasti, Barker, Landis, Tarantino. Complesso parlare di questo regista, non soltanto perché padre di una prolifica filmografia che comprende oltre 50 film che attraversano tutti i generi, dall’esordio nel 1959 con I ladri, al crepuscolare Le porte del silenzio del 1991, ma perché in Fulci vivevano molte anime. Il suo enigma è questo, aver toccato punte altissime e altrettanto grandi cadute. Alcuni topoi tornano nella sua opera: la morte, il tempo, la violenza, i rapporti di potere, la politica, la religione. Su questo versante, quello dei rapporti tra religione e potere, si concentrerà il discorso, in particolar modo sull’idea fulciana di peccato, prendendo in analisi due film: Beatrice Cenci del 1969, e Nonostante le apparenze e purché la nazione non lo sappia, all’onorevole piacciono le donne del 1972.

Beatrice Cenci è l’opera più autoriale del regista. Ambientato nella Roma tardo cinquecentesca, narra di Beatrice, condannata a morte insieme ai fratelli per l’omicidio dell’odiato padre-padrone. Il nostro, lasciandosi alle spalle commedie e musicarelli, si getta a capofitto in una storia in costume. La sceneggiatura, scritta insieme a Roberto Gianviti, rimanda a Les Cence di Antonin Artaud. Il regista decide di porre l’incipit verso l’epilogo, la notte che precede l’esecuzione. Su questa struttura innesta una serie di flashback non lineari. Al di là dell’interessante scansione narrativa, la volontà è quella di fare un pamphlet contro la legge, le istituzioni, la Chiesa. Fin dall’inizio Fulci insinua il dubbio che la condanna da parte del papa, non sia motivata dalla giustizia terrena, ma da scopi più bassi e speculativi. In una delle prime sequenze, la lettura della sentenza da parte degli avvocati difensori dei Cenci, viene espressa l’idea del complotto. L’eliminazione di un’intera famiglia portava all’incorporazione di tutte le loro proprietà all’interno dei possedimenti della Camera Apostolica. I personaggi vengono mostrati come in bilico, né completamente colpevoli, né innocenti. La stessa Beatrice (Adrienne La Russa) abusata dal padre (George Wilson), diviene nel momento dell’assassinio di questi, una killer spietata. Vero motore del parricidio, riesce a convincere Olimpio (Tomas Milian) sguattero e suo amante, a partecipare alla congiura. L’accusa di Fulci non è rivolta nei loro confronti, ma alla società civile e religiosa, di cui al massimo l’individuo è pallido riflesso. I frati che si presentano alla cella di Beatrice e della matrigna intimando loro di pentirsi, utilizzano le armi del peccato, per poter sfruttare le loro angosce. Nelle scene finali, viene presentato un mefistofelico Clemente VIII mentre sarcasticamente annuncia ad un dignitario che, per accontentare il popolo molto scosso, al momento della decapitazione, assolverà l’anima della ragazza. Nel sorriso beffardo dell’uomo nel dire queste parole, si scatena tutto l’anticlericalismo fulciano. Discorso speculare quello affrontato in All’onorevole piacciono le donne, cioè la scalata politica di Giacinto Puppis, che vede il sogno di una vita messo in pericolo da incontrollabili raptus sessuali che lo colgono nei momenti più inopportuni. Il titolo potrebbe far credere di trovarsi in area commedia sexy. La presenza di Buzzanca e della Antonelli sembrerebbe confermarlo. In realtà i contenuti controvertono questa idea. Pur adottando situazioni da pochade, il film si muove sul terreno della satira politico-sociale. Il regista realizza un ulteriore attacco alle istituzione chiuse e repressive per dirla alla Bellocchio, legate fra di loro da una stretta rete di macchinazioni. Tutti si intercettano a vicenda: carabinieri, esercito, Vaticano, ma alla fine tutti si ritrovano uniti da un comune scopo, evitare di disperdere il potere. Quest’opera più di altre è stata vittima di guai giudiziari, e ancor oggi è difficile reperire la copia integrale, nei suoi 108 minuti. All’esame per il rilascio del visto censorio, la pellicola è proiettata al Viminale di fronte allo stato maggiore della DC, che non gradì, provando prima a convincere il produttore Edmondo Amati a vendere l’opera, almeno da quanto si dice nel documentario A history of Censorship, contenuto nel dvd dell’edizione inglese, poi bloccandone l’uscita con l’accusa di oscenità. Dopo due mesi e una serie di tagli, il film venne rilasciato con un divieto ai 18 anni e poté iniziare a circolare. Nel personaggio di Puppis (Lando Buzzanca), è trasfigurato l’onorevole Emilio Colombo, allora Presidente del Consiglio, e con lui sono manifesti i molti vizi e le poche virtù non solo dell’uomo, ma di un intero paese, da sempre inebetito dalle tonache clericali. L’attacco alla Chiesa, monolitica istituzione di potere politico, è totale. Il personaggio chiave del film infatti non è Giacinto, burattino gestito dalle mani del Cardinale Maravidi (Lionel Stander), che per portare avanti i suoi piani non si fa scrupolo di stipulare alleanze con la mafia e di far “canonizzare” (ammazzare e trasformare in statue di cera) tutti coloro che creano uno schermo alla sua azione. Significativa le sequenza dentro la basilica, dove mentre tutti i prelati sono supini sul pavimento in preghiera, un furibondo Maravidi esclama un blasfemo “Cristo” sbattendo il pugno a terra, alla notizia che il suo “pupazzo” scalpita in preda a pulsioni sessuali. Proprio Giacinto educato alla mortificazione della carne, a rifuggire il piacere peccaminoso per dedicarsi esclusivamente alla gestione della cosa pubblica. Nella corsa al potere non c’è posto per la passione. La felice liaison tra suor Delicata (Laura Antonelli) e Giacinto verrà soffocata nel sangue, anche alla donna toccherà la canonizzazione. Il suo simulacro irrompe nel durissimo finale, dove un Puppis ormai Presidente della Repubblica, si ferma in raccoglimento davanti alla statua della donna. Cinquecento anni separano cinematograficamente le due pellicole, ma il totale delle somme è il medesimo, a dimostrazione che la storia è ciclica e vede inesorabilmente l’eterno ritorno dell’uguale, Nietzsche docet.


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