Pesaro 43 - Fotofinish 2 - Evento Speciale A Volte Tornano...
Antonin Artaud. Carmelo Bene. Buster Keaton. Qualcuno chiama in causa, un po’ fuori luogo, pure Totò (ma la somiglianza Totò-Rezza è più fisica che mentale). Sono alcuni dei maestri, più o meno cattivi, continuamente evocati dal duo teatral-cinematografico (poiché di coppia artistica a tutti gli effetti si tratta, anche se si parla sempre e solo di chi “mette la faccia”) Antonio Rezza e Flavia Mastrella. Che dichiarano di fare i loro spettacoli più per i morti e i futuri nascituri, che per lo spettatore contemporaneo, votato all’impossibile operazione di decriptazione dei loro testi. Ma è inutile nascondersi dietro a un dito: questi due artisti – bizzarri come dovrebberlo essere tutti – appartengono davvero più al passato e al futuro, che al morto presente. Il teatro è l’arte più finita fra tutte, per loro (lo dicono con qualche argomento, ci pare): e allora, è del sentimento di perdita che si compone la loro opera, di un logorio fisico che evoca continuamente immagini di morte e corruzione, di decadimento e di malattia (mentale, prima che fisica).
E’ possibile rinvenire all’interno degli spettacoli teatrali e dei film di Rastrella-Rezza un’arte sofisticatissima – nonostante le continue invenzioni dissacratorie, che fanno gridare allo scandalo i benpensanti – ma che risulta per tutti sempre superbamente godibile, comicissima. Diversi i momenti esilaranti dello spettacolo, già ripreso e trasposto in video nel 2003 e ora, ulteriormente allungato, che esaltano il lavoro di fino dell’attore Rezza, mentre segmentano il senso dello spettacolo nel suo complesso (spettacolo che, comunque, si ciba di frammentazione).
Vitalissimo, sulla scena non sta mai fermo, Rezza si rotola, molesta gli spettatori, strattonandoli e palpeggiandoli. Se sulla scena il teatrante non dovrebbe mai sedere di fronte al pubblico, replicandone esattamente la posizione, neppure lo spettatore dovrebbe vivere la sua condizione unicamente passiva: deve essere coinvolto in prima persona, va rivitalizzato. In questo ritorna utile la lezione di Artaud e del suo Teatro della Crudeltà, votato a “una violenta, fisica determinazione di scuotere la falsa realtà che" egli sosteneva "si stende come un lenzuolo sulle nostre percezioni”. Osteggiava la dittatura del testo sulla pluralità di significati possibili, promuovendo il pensiero evocato piuttosto da una posa o da un gesto, che dalla stanca scansione dei dialoghi. Stessa tensione violentemente antinarrativa, atta a scuotere le menti degli astanti, sorregge le scelte artistiche di Rezza-Mastrella. Politico anche senza volerlo, sociale pur rifuggendo le notazioni letterali, il teatro dei due autori parla sempre di morte, eppure rappresenta l’arte scenica più vitale che abbiamo in Italia.
Il bianco e nero esalta compiutamente l’astrattezza della dimensione scenica e del lavoro della Mastrella, autrice stavolta di una scenografia che non si limita al palco, ma attraversa la sala, che fa voltare lo spettatore per seguire il mattatore Rezza cui fornisce degli oggetti di scena ingegnosi e polisemici, destinati a prevalere sulla figura umana. Come in Jacques Tati. O, di nuovo, in Keaton. Rezza non ama il pubblico, come Bene, che così sottolineava: “Io vivo della mia Arte. La respiro in ogni momento della mia vita, della mia giornata. Lo spettatore a teatro viene a svagarsi, a passare un paio d’ore diverse, magari d’evasione. Non potrà mai capire”.
Due artisti della sincerità più totale, che scostano il velo di perbenismo deposto ad occultare tutto il marciume presente sul vero volto della società e delle metastasi che produce, attraverso l’arma del sarcasmo, del prendersi gioco di tutto, dalla religione all’attacco alle Torri Gemelle. E perchè non si dovrebbe poter ridere di tutto? Da dove proviene questa paura? Quest’ansia di censura? Non risiede anche lì, forse, la causa e l’origine stessa del male? Da qui discendono le ragioni della nudità di Rezza, di nuovo sia fisica che mentale: di uno che ti fa ridere urlandoti in faccia ripetutamente che sta male. I deu autori non sono mai scesi a compromessi, finora. Di quanti si può dire lo stesso? Di Ciprì e Maresco, magari, impegnati anche loro sul doppio fronte della ricerca sperimentativa più estrema (per loro cinema e televisione: altra ardua impresa!) e di pochissimi altri.
L’unico conforto possibile, a suggello di tanta carica eversiva, sembra essere contenuta nel motto “una risata vi seppellirà”.
Mai scritto da Antonio Rezza; Regia: Flavia Mastrella, Antonio Rezza; allestimento scenico: Flavia Mastrella; interpreti: Antonio Rezza, Armando Novara; produzione: Compagnia Piera Degli Esposti.